“Il carnefice di Pamela non può uscire dal carcere”

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Pamela Mastropietro

“Il carnefice di Pamela non può uscire dal carcere” – Appello di Alessandra Verni, mamma di Pamela Mastropietro, la 18 enne uccisa e fatta a pezzi il 30 gennaio del 2018 a Macerata e ritrovata in due valigie nelle campagne di Pollenza, alla vigilia dell’udienza al tribunale di Perugia nel processo d’appello bis. La donna teme che Innocent Oseghale possa avere una riduzione della pena e tornare presto in libertà.

 “Sono molto tesa e aspetto l’udienza di domani provando ad avere fiducia nello Stato. Non dormo più, ma in realtà sono ormai 5 anni che non riesco ad avere pace: da quando è morta Pamela. Se veramente credo che sarà fatta giustizia? Ci sto provando, ma ho davvero paura che il carnefice di mia figlia possa uscire fuori”

Ha la voce di chi a stento trattiene le lacrime Alessandra Verni, mamma di Pamela Mastropietro, la 18enne uccisa e fatta a pezzi il 30 gennaio del 2018 in un appartamento a Macerata e ritrovata in due valigie nelle campagne di Pollenza. La donna confida all’AGI le sue paure. Teme che Innocent Oseghale possa avere una riduzione della pena e dunque un giorno uscire dal carcere.

C’è infatti il rischio che gli venga tolta l’aggravante della violenza sessuale alla condanna all’ergastolo. La parola ora spetta ai giudici del tribunale di Perugia dopo che, lo scorso 23 febbraio, la Cassazione aveva annullato con rinvio limitatamente all’aggravante relativa alla violenza sessuale che sarà quindi rivalutata nel processo d’appello bis previsto per il 25 gennaio.

“Sono andata al Quirinale e al ministero della Giustizia”, confida la donna. Alessandra – assistita dal fratello, l’avvocato Marco Valerio Verni – non è contenta di come sono state fatte le indagini a Macerata ed è anzi convinta che ci siano altri responsabili, oltre a Oseghale, per quanto accaduto alla figlia.

“Ci sono due persone che non sono state ancora tirate in ballo, africani come Oseghale, che faceva parte di una banda di pusher provenienti da Gambia e Nigeria. C’è il loro Dna, di uno di loro sul corpo di Pamela, e anche su uno dei trolley dove è stata chiusa dopo l’omicidio”, racconta.

Questo lo ha detto a chi l’ha ricevuta, sia al Quirinale sia al ministero, e vorrebbe parlarne anche con il premier Giorgia Meloni che si era molto interessata al caso negli anni passati. “Era venuta al funerale di Pamela e anche alla fiaccolata. Sto aspettando di sentirla, ma mi piacerebbe incontrarla e vorrei farle vedere come me l’hanno ridotta: foto e documenti. E, soprattutto, farle presente cosa è mancato in questi 5 anni da parte delle istituzioni”, dice Alessandra che, nella chiacchierata, si scusa più volte per i toni. Una mamma che però non ha davvero nulla di cui scusarsi. “Perché Oseghale l’ha dovuta fare a pezzi? Perché ha lavato il corpo con la candeggina?“, si chiede. Domande a cui non c’è una risposta.

La donna punta poi il dito contro Lucky Desmond e Awelima Lucky – entrambi erano stati indagati, ma le accuse sono state archiviate – “Nelle prime udienze del processo Oseghale accusò Desmond e Awelina, perché non sono andate avanti con le indagini?”, afferma.

E, per la donna, responsabilità ci sarebbero anche da parte della clinica di Macerata dove Pamela era in cura: “Potevano fare qualcosa in più. La mia bambina è morta anche per incapacità operativa di chi all’epoca lavorava lì. Qualcuno avrebbe dovuto fermare Pamela. La comunità non sarà un carcere, ma se un genitore si affida alla sanità non è per ritrovarsi la figlia così”, dice. “Forse sto esagerando, mi scusi”, si lascia scappare ancora la donna che guarda le previsioni e afferma: “Ho perfino paura della neve. Temo possano rinviare il processo, ma non voglio: vorrei giustizia per poter dormire e perché anche Pamela possa riposare in pace”.

Agi

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