Il coraggio di Fabrizio Quattrocchi e la lezioneche ricorda all’Italia – Diciannove anni fa Fabrizio Quattrocchi trovò la forza di morire a volto scoperto per ricordare al mondo il coraggio di un italiano.
“Vi faccio vedere come muore un italiano“, poi l’esplosione di tre colpi di pistola, sparati alla schiena. “Era nemico di Allah“, chiosa un uomo senza volto e senza nome. Sono parole rimaste scolpite nel deserto quelle di Fabrizio Quattrocchi, operatore di sicurezza privata – o contractor per chi preferisce gli anglicismi – giustiziato mentre in ginocchio, con le mani legate, di fronte alla videocamera del boia il 19 di aprile del 2004, in Iraq.
A diciannove anni dalla sua morte, il ricordo della premier Giorgia Meloni risveglia la coscienza di una Nazione incapace – nel bene come nel male – di restare impassibile di fronte all’orgoglio e al coraggio di un italiano. Perché questo era Quattrocchi, prima d’essere una vittima, un ostaggio rapito a Baghdad con i suoi colleghi, un operatore di sicurezza alle dipendenze di una società con sede in Nevada, Stati Uniti, con una carriera militare relativamente anonima nelle forze armate: aveva prestato servizio nell’Esercito Italiano, inquadrato nel Battaglione “Como” come istruttore di fanteria.
”Un uomo coraggioso che ha mostrato ai suoi carnefici e al mondo l’orgoglio di essere italiani”, ha scritto la premier sui social, mentre la stampa ricorda quando Franco Frattini, allora ministro degli Esteri, raccontò al mondo come era andata quel giorno, come era si era svolta l’ignobile esecuzione: “Quando gli assassini gli stavano puntando la pistola contro, questo ragazzo ha cercato di togliersi il cappuccio e ha gridato: adesso vi faccio vedere come muore un italiano. E lo hanno ucciso. È morto così: da coraggioso“.
Un coraggio differente da quello che viene celebrato oggi dalla stampa e dalle televisioni, senza dubbio. Un coraggio da guerriero che non piace a una parte dell’opinione pubblica, spesso critica al cospetto di quegli uomini che scelgono il “mestiere” delle armi, ma facilmente “resettabile” dal cortocircuito indotto dai fanatismi che ha innescato l’enfasi per la resistenza ucraina e gli eroi che si sono scoperti tali: uomini e donne che nel momento del massimo sacrificio trovano la forza e il coraggio di non abbandonarsi alla paura. Gente tutta d’un pezzo, come Fabrizio Quattrocchi.
Che fosse “lì per soldi”, da “mercenario”, e non combattesse in nome di un qualche dio, come i suoi carnefici delle Falangi Verdi di Maometto, ad alcuni importò poco e importa poco ancora oggi. Perché era quello il mestiere che aveva scelto per se; in libera scelta e col coraggio che anche a posteriori molti audaci opinionisti e detrattori del tempo, che si rinvigoriscono proprio oggi per fare fronda d’opposizione, non hanno dovuto mostrare mai. Istigando una rabbia che alle volte si fatica a trattenere quando si ricorda che il corpo di Quattrocchi, allora trentaseienne, venne abbandonato nel luogo scelto per l’esecuzione.
Ritrovato solo il 21 di maggio, era stato offeso dalla fame degli animali che avevano avuto a disposizione quel corpo per oltre un mese; e a leggere certi commenti sui social, nell’anniversario di tale ricordo, altro non viene in mente che il celebre adagio sempre utile a ricordare come sui cadaveri dei leonifesteggiano i cani, lasciando immutato lo stato dei leoni, che al cospetto dei cani rimangono tali.
Quattrocchi venne insignito della Medaglia d’oro al valor civile dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi poiché: “Vittima di un brutale atto terroristico rivolto contro l’Italia, con eccezionale coraggio ed esemplare amor di Patria, affrontava la barbara esecuzione, tenendo alto il prestigio e l’onore del suo Paese“. Parole che a leggerle ancora oggi impongono commozione. E chi non la prova, forse ha dei problemi, ma non con l’Italia e il patrio amore, con il senso d’umanità.