Il fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, attende una sentenza cruciale a Londra che deciderà sulla sua estradizione negli USA. Questo verdetto non solo determinerà il suo futuro, ma potrebbe anche ridefinire il panorama della libertà di stampa a livello globale.
Siamo ad un punto di svolta, in un modo o nell’altro, nella lunga saga di Julian Assange, detenuto in Gran Bretagna, di cui tra pochi giorni si conosceranno le sorti. E con il suo futuro, è in dubbio il destino della libertà di stampa così come la conosciamo. Ma facciamo un passo indietro.
Julian Assange è un giornalista e programmatore australiano, fonda nel 2006 il sito WikiLeaks, una piattaforma che tramite sistemi di crittografia garantisce l’anonimato a tutti i ‘whistleblower’ del mondo, ovvero tutti coloro che, in possesso segreti di stato, rivelano al pubblico notizie ed informazioni importanti riguardo al loro governo. Il mondo viene così a conoscenza delle terribili repressioni delle rivolte in Tibet da parte del governo cinese e delle esecuzioni sommarie della polizia in Kenya.
WikiLeaks trova all’epoca il sostegno di testate giornalistiche importanti come il Der Spiegel, il New York Times e il Guardian, che pubblicano molti scoop e danno rilevanza mediatica alla piattafroma di Assange.
Nel 2009, Chelsea Manning, all’epoca Bradley Manning, un giovane analista informatico dell’esercito degli Stati Uniti stanziato in Iraq, entra in contatto con WikiLeaks per rivelare segreti che ritiene debbano essere portati alla luce, che rivelavano come i civili vengono routinariamente uccisi dall’esercito americano. Il primo video mostra come l’esercito americano avesse ucciso due giornalisti Reuters a Baghdad ed insabbiato l’evento, non avendo mai ammesso l’accaduto. Insieme al video, centinaia di migliaia di documenti sensibili con comunicazioni interne e rapporti di guerra del Pentagono.
Subito dopo la pubblicazione esplosiva dei documenti americani sul sito WikiLeaks, Assange viene accusato di violenza sessuale durante un viaggio in Svezia; lui nega da sempre le accuse e ribadisce si trattasse di rapporti consenzienti. Mentre si trova a Londra, il governo svedese manda una richiesta di estradizione per portarlo a giudizio. A quel punto, Assange trova rifugio nell’ambasciata dell’Ecuador, che accetta la sua richiesta come asilante politico. Successivamente, la Svezia stessa ritirerà le accuse di per mancanza di prove. Ma ormai Assange si trova nel limbo del sistema giudiziario internazionale: non ritrova mai la libertà. È prima accusato dalla Gran Bretagna di aver violato gli arresti domiciliari, e a stretto giro dagli Stati Uniti di spionaggio, e rischia una pena di 175 anni se mai verrà a giudizio nel territorio americano.
Nel 2019, dopo sette anni di asilo nell’ambasciata, Assange perde la protezione politica dell’Ecuador, e viene arrestato dalla polizia inglese. Tutt’ora è detenuto nella prigione di massima sicurezza di Belmarsh.
Una delegazione delle Nazioni Unite dichiara che le condizioni di salute fisica e mentale di Assange ‘sono in continuo declino’. La moglie, l’avvocatessa Stella Morris che lotta con il suo team di difesa contro l’estradizione negli Stati Uniti, ha rivelato che “se verrà estradato negli Stati Uniti, morirà”.
Domani, 20 febbraio, due giudici dell’Alta Corte di Giustizia britannica si riuniranno per portare una sentenza decisiva in merito al ricorso sull’estradizione di Assange: potrà portare il suo caso davanti alla Corte inglese per evitare l’estradizione negli Stati Uniti? In caso contrario, verranno iniziate subito le pratiche per il trasferimento al sistema carcerario americano, con conseguenze che nessuno può prevedere.
Gli eventi che circondano il caso Assange sono di rilevanza prima di tutto politica, visto che nessuno altro al di fuori di lui sta pagando per le cocenti rivelazioni di WikiLeaks: la pena di Chelsea Manning fu commutata dal presidente Obama già nel 2017, e le testate giornalistiche coinvolte non hanno mai ufficialmente subito ripercussioni.
La decisione imminente è appesa ad un filo, e le associazioni Free Assange Italia e Amnesty International si ritroveranno domani di fronte all’ambasciata di Gran Bretagna a Roma, per dimostrare il loro continuo sostegno ad Assange e al diritto di informazione. L’appuntamento è in Via XX Settembre alle ore 16.30.
L’esito della sentenza sull’estradizione di Assange, attesa nei prossimi giorni a Londra, sarà cruciale non solo perché si stabilisce il destino di un uomo, ma per le implicazioni più ampie che tale decisione avrà per il futuro della libertà di informazione.
Di Susanna Hefner