L’Italia è in coma

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Draghi va a Tripoli, Di Maio si è iscritto al Cepu, la Lamorgese è a lezioni di sicurezza, l’Italia è in stato di incoscienza.

Intanto, la Libia scarcera un trafficante di esseri umani considerato universalmente un criminale. Non c’è nulla da aggiungere nella vignetta: ci sono Paesi con governanti spregiudicati che fanno i propri interessi più o meno loschi, e c’è il nostro, dove regna sovrana l’irresponsabilità, la superficialità, l’ottimismo suicida.

È del 2014 una approfondita ricerca condotta da Andrea Di Nicola e Giampaolo Musumeci, il primo docente di Criminologia e il secondo reporter di inchiesta sul controllo dell’immigrazione clandestina da parte delle organizzazioni criminali. Fenomeno che non interessa solo le coste africane, ma che coinvolge anche la Cina, ad esempio, con modalità diversificate. Gli sbarchi sono uno dei metodi di passaggio, ma c’è anche una pericolosissima rotta balcanica sulla quale aveva approfonditamente indagato Federico Frezza, della Procura di Trieste e della Direzione Distrettuale Antimafia. Resta il fatto che «Tutto il Nordafrica guarda a Lampedusa perché è vicina», perché «per i trafficanti di uomini è un’isola che rende».

Nel loro saggio “Confessioni di un trafficante di uomini”, i due ricercatori mettono in evidenza un apparato che nulla lascia all’improvvisazione e alla spontaneità: dal reclutamento al trasferimento alla collocazione, ogni passaggio è perfettamente controllato e guidato.

Dalle migliori e più sofisticate apparecchiature elettroniche, fino ad «agenzie di viaggio» che acquisiranno il denaro e forniranno falsi documenti di identità e permessi di soggiorno contraffatti – colletti bianchi, tanto per essere chiari –, tutto risulta essere un sistema di reti di complicità, dalla partenza all’arrivo. Lo sottolinea Di Nicola: «Dietro alle decine di migliaia di migranti che ogni anno arrivano in Europa c’è un’industria fatta di grandi professionisti del crimine, gente in doppiopetto, uomini d’affari il cui fatturato mondiale è secondo solo a quello della droga».

Nessuna meraviglia se la Libia libera qualche criminale: in fondo è meglio che qualcuno si arricchisca con la pelle degli altri, magari facendo anche il gioco dell’invasione, piuttosto che agisca illegalmente nel proprio paese.

Il problema non sono gli altri, siamo noi. Il problema non è la Libia che si accorda con la Turchia nel disegno egemonico di conquista, ma è l’Italia che mantiene un profilo di sudditanza politica e di subordinazione commerciale, senza uno slancio di orgoglio e di fierezza sovrana.

Ha ragione Souad Sbai quando incita l’Italia a svegliarsi, ma prima bisogna disintossicarla dal coma indotto al quale l’hanno artatamente anestetizzata

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