Islamismo radicale, l’Italia come la Francia?

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“L’islamismo radicale fa appello ai giovani affinché si escludano dalla società francese”. Non poteva essere più chiaro il giovane intervistato nel nuovo reportage trasmesso dal canale televisivo M6, sulla realtà del cosiddetto “separatismo” nella Francia di oggi.

La dichiarazione non proviene da islamofobi, xenofobi, razzisti, ma da un musulmano della nuova generazione, visibilmente indignato e sofferente per la degenerazione che ha colpito la sua stessa città, Roubaix, trasformata in un centro a misura d’integralista religioso dove tutto è proselitismo: il proliferare di librerie con volumi sul jihad armato in bella vista; le vetrine dei negozi dove il velo integrale (niqab) viene venduto a mo’ di tailleur per la donna “regina della casa”; gli inquietanti pupazzi e fumetti per bambini con figure umane e animali senza occhi, naso, bocca, perché i “sapienti” dicono che così bisogna fare per essere bravi credenti; le immancabili moschee o i locali adibiti a luoghi di culto, irregolari o meno, nei quali l’integrazione è il nemico da combattere poiché l’obiettivo è stabilire sul territorio un nuovo governo, quello dell’islamismo radicale, appunto, con le sue leggi improntate sulla sharia, meglio se nelle sue interpretazioni più rigoriste. E Roubaix non è affatto una monade, bensì un esempio rappresentativo di un fenomeno in continua espansione, in lungo e in largo per tutto il paese.

Le autorità francesi hanno deciso di reagire, ma le leggi contro il “separatismo” introdotte dal presidente Macron sembrano il classico pannicello neppure troppo caldo. Al di là dei proclami iniziali, il repulisti di predicatori dell’estremismo, moschee radicali e scuole dove non s’insegna a essere cittadini, a prescindere dalla religione di appartenenza, ma sudditi di un emirato fondamentalista, finora non c’è stato e molto probabilmente non ci sarà mai. Il motivo è semplice, ed è anche un dato dal valore storico: si tratta infatti d’intere aree − le “zone interdette”, questo il titolo del documentario − su cui la Francia ha perso di fatto la sovranità, dopo decenni di colpevole non curanza verso un progetto di conquista che solo gli accecati dall’ideologia del multiculturalismo continuano a non vedere, prestandosi piuttosto come sparring partners alle campagne di strumentalizzazione dell’islamofobia orchestrate ad arte da movimenti, influencer e agitatori di professione, riconducibili principalmente alla Fratellanza Musulmana. Obiettivo è mobilitare la piazza dei militanti islamisti in contrapposizione con il governo, alimentandone un’identità “separata” e in conflitto con ciò che li circonda, di cui si sente vittima sacrificale. Certe prese di posizione da parte di Macron e di esponenti dell’esecutivo e del mondo politico, come Éric Zemmour l’ultimo arrivato, sono state indubbiamente infelici e la loro insistenza monotematica e ideologica sulla laïcité e i valori della République non ha aiutato il dialogo e a stemperare gli animi, facendo ancor più il gioco dell’islamismo radicale, sempre pronto al muro contro muro e ad alimentare l’insicurezza con attacchi terroristici, più recentemente con decapitazioni (Parigi, caso Samuel Paty) e accoltellamenti (Nizza, 3 morti).

Dalla Francia all’Italia il passo è breve. Qui non siamo ancora alle “zone interdette”, per il momento. L’islamismo radicale avanza dal basso in maniera silente, senza far rumore o dare nell’occhio: il modo migliore per diffondersi a macchia d’olio, evitando scontri e tensioni che potrebbero ostacolare un progetto avviato in tempi più recenti rispetto alla Francia e perciò ancora in fase di maturazione e consolidamento. La trasformazione delle città a misura d’integralista richiede decenni e la necessaria gradualità impone prudenza e attenzione anche nel manifestarsi. Per il proselitismo e lo sfogo delle pulsioni militantistiche, a vari livelli d’intensità, ci sono internet e i social media, che pullulano di propagandisti e comunità composte da numerosi soggetti sia di origine immigrata (la maggior parte, per ovvie ragioni legate ai paesi di provenienza), che italiana (percentuale in costante crescita). Moschee e luoghi di culto non fungono più dunque da centri propulsori della radicalizzazione, sebbene continuino ad offrire occasioni d’incontro tra militanti, nonché di adescamento specie dei più giovani.

D’altro canto, i fatti della notte di Capodanno a Milano, in piazza Duomo, sembrano indicare una diminuita capacità degli stessi “ambienti”, fisici e virtuali, di contenere le suddette pulsioni. È davvero superficiale e irresponsabile derubricare l’accaduto a un episodio di crimine ordinario. Non si è trattato semplicemente di un branco di 30-35 incivili teppistelli, ma di giovani di seconda generazione “separati” dalla società italiana e ben interconnessi ai canali e alle reti di proselitismo e militanza online, dove hanno acquisito e alimentano quotidianamente la tipica mentalità “jihadista” che li ha spinti al premeditato assalto sessuale contro le donne (degli) “infedeli”, il cui stupro è il premio per la conquista del territorio, alla maniera dell’ISIS in Siria e Iraq. Chi c’era dietro l’assalto, chi ne è stato il regista? L’esecuzione ha seguito dinamiche sofisticate, non improvvisate, frutto di un addestramento precedente.

Tuttavia, una parte rilevante del mondo della politica e dei media continua nell’operazione indifferenza, che si tramuta in connivenza attiva quando prevalgono giustificazionismo, omertà e ambiguità, specie in quel campo che si autoproclama “democratico”. Di ciò, la giunta “arcobaleno” milanese è massima espressione. Ha fatto finta per dieci giorni che non fosse successo nulla, prima di esprimere solidarietà, almeno quella, per le ragazze violentate, ma di assunzione di una qualche responsabilità nemmeno l’ombra. Eppure, governa la città da dieci anni e dovrebbe sapere quali sono i rischi connessi a certe situazioni di disagio sociale e prevenirli, a tutela dei cittadini. L’interesse della giunta, invece, si dirige esattamente lungo la strada che finirà per favorire l’espansione dell’islamismo radicale anche in Italia, come avvenuto in Francia.

L’annunciata concessione di due nuove aree per la costruzione di moschee, in aggiunta alle tre già assegnate in precedenza, favorirà la formazione di quartieri “separati”, “zone interdette” che sono già oggi in embrione e attendono solo che gli venga lasciato campo libero per potersi sviluppare. Mentre restano 12 moschee abusive, considerate evidentemente alla stregua degli stabili occupati dagli intoccabili centri sociali. Roubaix, Milano, Italia.

Di Souad Sbai

Da articolo della rivista Intervento nella società anno 2022

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