Sahar Khodayari è stata arrestata e messa sotto processo per aver tentato di assistere a una partita di calcio e per aver violato l’obbligo d’indossare il velo. In tutta risposta, Sahar si è data fuoco cospargendosi di benzina ed è morta dopo alcuni giorni di agonia per le ferite subite a soli 29 anni. Questa insostenibile tragedia è avvenuta in Iran, ostaggio da 40 anni del Regime Khomeinista, la piena realizzazione dell’Islam politico dei Fratelli Musulmani in versione sciita.
Dell’Islam politico qualche esperto ha annunciato erroneamente la morte solo qualche settimana fa (vedi Olivier Roy al Meeting di Rimini). La morte, l’Islam politico, la provoca invece a chi vi si oppone, continuando a mietere vittime soprattutto tra le donne. Sono infatti le donne il nemico numero uno del Regime Khomeinista, che si fonda sulla sottomissione della componente femminile della società, a cui viene negata ogni forma di diritto e libertà.
La Guida Suprema, Ali Khamenei, non intende concedere neppure un minimo allentamento di questo stato di sottomissione, perché scuoterebbe in maniera dirimente la già fragile stabilità interna della Repubblica islamista, mettendone in pericolo la sopravvivenza. La condanna a 38 anni di carcere e a 148 frustrate inflitta a Nasrin Sotoudeh, attivista che si batte contro l’obbligo del velo, racchiude nella sua portata sia la grande paura di Khamenei, che con il velo delle donne teme possa cadere anche il regime, che la violenza di cui la Guida Suprema è disposto a far uso pur d’impedire che il suo incubo notturno e diurno si materializzi.
Pertanto, l’aver consentito a gruppi di donne di entrare in uno stadio per assistere a partite di calcio non è stato altro che una finzione orchestrata allo scopo di controbattere sui media internazionali ai commenti positivi riguardanti le riforme per i diritti delle donne introdotte nella vicina e nemica Arabia Saudita, rabbonendo al contempo la comunità internazionale nei vari tavoli negoziali, in particolare sulla questione nucleare.
La festa allo stadio è così durata solo lo spazio di 90 minuti o poco più. Il divieto d’ingresso si è abbattuto nuovamente sulle donne, su cui la polizia vigila con la massima attenzione per stroncare possibili violazioni. Tuttavia, mossa dallo spirito indomito tipico delle donne iraniane, mai rassegnatesi a subire la repressione del Regime Khomeinista, Sahar Khodayari ha sfidato il divieto, riuscendo a intrufolarsi nello stadio indossando abiti maschili.
L’arresto ad opera di una guardia e il successivo autodafé davanti al tribunale dopo il rilascio su cauzione, sono ormai di dominio internazionale. Il gesto eroico, probabilmente maturato durante la detenzione di due giorni nel carcere femminile di Shahr-e Rey, noto per le terribili condizioni igieniche e ambientali, consacra Sahar Khodayari a martire per la lotta dei diritti delle donne contro il Regime Khomeinista.
Sahar non deve aver sacrificato la sua vita invano, ha affermato il responsabile per il Medio Oriente di Amnesty International, Philip Luther. La sua morte deve spingere il regime a un cambiamento epocale, aprendo gli stadi anche alle donne, lasciandole libere di non indossare il velo se così desiderano.
Chissà cosa penserebbe Sahar delle sinistre femministe occidentali, quelle che a Teheran, al cospetto degli esponenti del Regime Khomeinista, amano indossare il velo che le fa sentire chic e rivoluzionarie nello stesso momento, mentre a Bruxelles e nelle altre capitali della diplomazia internazionale, legittimano e sostengono sia l’esistenza che le ambizioni della Repubblica islamista, malgrado la sua persecuzione nei confronti delle donne.
In assenza di una forte pressione della comunità internazionale, l’appello di Amnesty è destinato a cadere nel vuoto come i tanti appelli lanciati in precedenza. Ma Sahar non è morta invano ed è sul suo immenso sacrificio che le donne iraniane costruiranno la loro vittoria contro l’oppressione del Regime Khomeinista.
di Laila Maher