Ha fatto il giro del mondo la tragica storia di Zahra Esmaili, la 42enne iraniana condannata all’impiccagione per aver ucciso, nel 2018, un marito violento con lei e con i figli e morta per un arresto cardiaco il 17 febbraio scorso, per lo shock di aver visto impiccare sedici uomini prima che arrivasse “il suo turno” nella prigione di Raj-Shahr a Karaj, città situata una trentina di chilometri ad ovest di Teheran. Zahra è stata impiccata comunque, sebbene avesse già esalato l’ultimo respiro.
Anche se il suo caso è da un certo punto di vista particolarmente raccapricciante, questa donna non è affatto la prima ad essere impiccata in Iran con l’accusa di aver ucciso il coniuge dopo aver subito violenze domestiche. Nel 2018 sono finite con il cappio al collo addirittura due ragazze minorenni: si chiamavano Mahboubeh Mofidi e Zeinab Sekaanvand, riporta “Il Messaggero”. Ovviamente si tratta di “spose bambine”: l’una era stata costretta a prendere marito a 13 anni, l’altra a 15… e a 17 anni non hanno “retto più” ai soprusi!
Le impiccagioni erano state denunciate da Javaid Rehman, relatore Onu sui Diritti umani in Iran, che aveva espresso preoccupazione per il numero di esecuzioni, avvenute anche segretamente sotto la Repubblica islamica, dopo torture e ovviamente confessioni forzate. Rehman aveva aggiunto che in 11 mesi, nel 2020, sono avvenute almeno 233 impiccagioni in Iran, comprese quelle di tre minorenni (dunque la tragedia delle condanne per i minori di 18 anni nel Paese continua, nonostante le denunce da parte delle organizzazioni per i diritti umani). Sabato 12 dicembre è stato impiccato anche un giornalista dissidente di nome Ruhollah Zam, reo di gestire un sito contro il regime e perciò, secondo la sua interpretazione della shar’ia, di “spargere corruzione sulla terra”. L’uomo è stato dato al boia soltanto tre giorni dopo la sentenza pronunciata dalla Corte suprema. Amnesty International ha denunciato la mancanza di tempo per fare ricorso al grande Ayatollah Khamenei e, ovviamente, smontare l’assurda accusa.
Zam aveva appoggiato le manifestazioni antigovernative verificatesi tra il 2017 e il 2018 e che erano state soffocate nel sangue. Il giornalista si era difeso, dicendo di non aver mai istigato ad azioni violente. Dopo un periodo in Francia, era rientrato in patria, confidando nell’Ayatollah al-Sistani, stimato anche in Occidente, ma purtroppo non aveva potuto evitare l’arresto. Era stato accusato anche di spionaggio (che novità!): per conto della Francia ma anche degli storici nemici della Repubblica islamica, Usa ed Israele. Secondo un articolo de Il Fatto Quotidiano intitolato “Il mese del boia”, solo a gennaio sono state eseguite in Iran le impiccagioni di almeno 27 persone: 16 accusate di omicidio (tra cui il wrestler 29enne Mehdi Ali Hosseini dopo il collega Navid Afkari a settembre, per i quali a nulla sono servite le proteste internazionali), sei per motivi di droga e un uomo accusato di stupro.
Dieci facevano parte della minoranza baluci, residente nella provincia del Sistan e Balucistan, nell’Iran sud-orientale al confine con il Pakistan. A gennaio sono stati impiccati anche attivisti curdi della città di Kermanshah. Naturalmente le impiccagioni sono continuate questo mese. Continuano intanto i tentativi di salvare il medico, docente e ricercatore svedese di origine iraniana Ahmad Reza Djalali, il cui caso è rimbalzato anche in Italia, anche perché lo studioso ha lavorato all’Università degli studi del Piemonte orientale (che ovviamente si è mobilitata). Come spesso è accaduto in Iran a persone con doppia cittadinanza, anche Djalali è stato accusato di spionaggio (ancora una volta nei confronti di Israele, perché egli è “colpevole” di aver collaborato anche con Università israeliane!) e quindi di “spargere corruzione sulla terra”!