Parità di genere e abbigliamento: in questi giorni sono avvenuti in Italia alcuni fatti che fanno dubitare che siamo in un Paese occidentale del 2021. Giorni fa “Il Fatto Quotidiano” aveva denunciato che il sindaco di Terni Leonardo Latini (Lega) aveva emanato un’ordinanza anti-prostituzione (fenomeno di cui a luglio dell’anno scorso è stato riscontrato l’aumento) che proibisce comportamenti che turbano “il decoro e la vivibilità dei luoghi” cittadini. Ivi compreso il “mostrare nudità”, associato ad atteggiamenti “diretti in modo non equivoco ad offrire prestazioni sessuali a pagamento”.
Ciò ha fatto pensare per esempio all’indossare minigonne e a portare scollature. Ha quindi suscitato una serie di polemiche, portando a rivendicare il diritto delle donne a vestirsi come vogliono. Parità “fino in fondo”. Sono intervenute sia le associazioni che la politica, evocando l’Afghanistan talebano (in cui però è previsto un certo abbigliamento anche per gli uomini).
Il primo cittadino del capoluogo umbro si è poi difeso. L’ “Huffington Post” ha riportato che secondo l’ordinanza di cui sopra è “fatto divieto a chiunque”, quindi non solo alle donne, di mantenere un “abbigliamento indecoroso o indecente in relazione al luogo ovvero nel mostrare nudità, ingenerando la convinzione di esercitare la prostituzione”.
“Se si legge il provvedimento attentamente e con uno spirito laico – ha dichiarato Latini – ci si accorge che non è vietato alcun tipo di abbigliamento particolare da parte di nessuno, ma che c’è solamente la volontà di contrastare un fenomeno. Occorre leggere bene e non estrapolare singole parole, perché altrimenti si rischia di strumentalizzare il tutto”.
I consiglieri della Lega hanno sostenuto il sindaco. Hanno manifestato “incredulità” e “grande dispiacere” per le contestazioni sull’argomento; anche “perché anche sindaci di centrosinistra (l’ha fatto presente lo stesso Latini, ndr) hanno adottato ordinanze simili, sia negli intenti che nei contenuti”. “Ci sono battaglie che non dovrebbero avere colore politico hanno sottolineato i consiglieri, secondo i quali “l’obiettivo universale” dovrebbe essere garantire sicurezza e decoro”. Il primo cittadino ha anche piegato che su “tre condotte che vengono vietate dall’ordinanza, due riguardano i clienti”.
Un altro fatto che ha suscitato polemiche analoghe, è stato reso noto ieri, giovedì 11 novembre. Una professoressa di liceo artistico, il “Marco Polo” di Venezia, ha vietato alle studentesse di indossare top sportivi in palestra. Il motivo? “Non distrare i maschi”! Le ragazze, riunite in un collettivo studentesco, hanno quindi protestato, presentandosi a scuola solo in top!
Il quotidiano “La Nuova Venezia e Mestre” ha spiegato che la settimana scorsa l’insegnante aveva rimproverato alcune alunne che indossavano questo capo di abbigliamento, perché non sarebbe stato “adatto al contesto scolastico”. Avrebbero dovuto indossare una maglietta.
Chi non l’aveva, ha dovuto fare gli esercizi in felpa. La professoressa ha anche detto che in caso di “recidiva” a portare il top, sarebbe arrivata la nota. Sconcertante questa volta sarebbe stata la motivazione (al di là del legittimo richiamo al rispetto del contesto scolastico). Nel frattempo, però, la prof., Chiara Ponticelli, ha negato di aver pronunciato quelle parole e precisato che una prima studentessa non si era presentata in top, ma proprio in reggiseno.
L’insegnante le ha chiesto di tornare nello spogliatoio e di indossare una maglietta e così ha fatto. Poi altre 5 o 6 sue compagne si sono presentate in reggiseno “così, con aria di sfida”. Al di là della necessità di decoro, essendo a scuola, la professoressa allora ha fatto loro presente che “è anche una questione di salute e di igiene: ventiliamo la palestra per il Covid, fa freddo”.
Un altro episodio curioso (e allarmante): Benetton, in collaborazione con il rapper Ghali, milanese di origine tunisina, ha creato l’ “Hijab Unisex” (sembra un copricapo da cavaliere medievale)! Quale sarà il motivo?
Certo, quando una donna musulmana indossa il velo o peggio, spesso si dice giustamente: “Perché non lo portano gli uomini?”. Tuttavia è ben difficile che succeda! Non è un’ulteriore strizzata d’occhio ai Fratelli Musulmani? E’ lecito pensarlo.
Per finire c’è l’iniziativa degli studenti del Liceo Classico e Musicale “Bartolomeo Zucchi” di Monza, in provincia di Monza e Brianza. L’altro ieri, mercoledì 10 novembre, anche gli studenti maschi un giorno si sono presentati a scuola in gonna (com’è avvenuto precedentemente in Scozia e Spagna). L’iniziativa è stata chiamata “Zucchi in gonna” ed è stata lanciata su Instagram.
Lo scopo è stato esprimere “il desiderio di vivere in un luogo in cui sentirsi liberi di essere ciò che si è e di non essere definiti dai vestiti che si indossano”.”Siamo contro la sessualizzazione del corpo” e la “mascolinità tossica”, sintetizza “Il Fatto Quotidiano”.
“Siamo molto soddisfatti della partecipazione, anche da parte dei ragazzi più giovani. Nel cortile interno dell’istituto ci siamo ritrovati in circa 70, ma credo che in tutta la scuola abbiano aderito tra le cento e le 120 persone – ha raccontato a “La Repubblica” Federico Contini, uno dei rappresentanti d’istituto degli studenti – Il messaggio fondamentale che abbiamo voluto veicolare è molto semplice: ciascuno deve potersi vestire come meglio crede, ovviamente nei limiti della decenza. E in tanti l’hanno capito: la prima edizione di ‘Zucchi in gonna’ era stata organizzata l’anno scorso, ma questa volta hanno partecipato molte più persone”.
“Alcuni professori erano veramente entusiasti della nostra idea, mentre altri erano un po’ più scettici, ma la cosa fondamentale è che tutti sono stati aperti al dialogo, senza preclusioni”, ha proseguito il ragazzo.
La conferma è arrivata a “Il Fatto Quotidiano” dalla dirigente scolastica Rosalia Natalizi Baldi. “Gli alunni hanno scelto di essere plateali perché vogliono essere visibili per affermare il valore della difesa della parità di genere e una visione pulita del corpo della donna non piegata dall’uomo. Ho consigliato loro di difendere il rispetto della parità di genere non solo con azioni eclatanti, ma anche nella quotidianità. Da parte mia però non c’è stata alcuna censura. Comprendo che a quell’età ci siano anche queste modalità di esposizione”.
“La mia unica preoccupazione – ha aggiunto la presidente – è che non ci si limiti al palcoscenico, ma che certi valori siano incarnati nelle loro vite. Dar voce al pensiero con la parola è importante soprattutto per una scuola come la nostra. Non bastano chiaramente gli slogan, non può essere una moda ma serve confrontarsi e crescere insieme con punti di vista anche diversi”. Ovviamente poi (vogliamo aggiungere) rivendicare la parità di genere anche attraverso l’abbigliamento non significa schizofrenia e mancanza di differenze.