di Andrea Morigi 23 novembre 2021
Più che una rete, la lobby cinese in Italia negli anni ha costruito una ragnatela. Vi sono rimaste impigliate anche scuole di ogni ordine e grado. Alla sezione D del liceo linguistico Ferraris di Taranto la lezione del 19 novembre termina con il canto dell’inno nazionale. Se fosse quello di Mameli, insorgerebbero pacifisti e antisovranisti refrattari al richiamo della Patria. Ma, visto che si tratta delle trionfanti strofe che hanno accompagnato la rivoluzione più sanguinaria della storia mondiale, nessuno si permette di protestare quando gli alunni intonano le note comuniste. Anzi, l’iniziativa si svolge nell’ambito di un protocollo d’intesa fra gli uffici centrali dell’Istituto Confucio dell’Università di Macerata e il Ferraris della città ionica. Come riporta metodicamente la giornalista del Foglio Giulia Pompili nella sua newsletter Katane.
Notizie da Asia e Pacifico, le occasioni per assoggettarsi all’espansionismo del governo di Pechino sono ormai sempre più frequenti. Presso la scuola secondaria di I grado San Nicola, a Bari, «su richiesta di un gruppo di genitori» è stato attivato il primo corso di cultura e lingua cinese, diretto dalla professoressa Chen Qian. L’insegnante, per sgombrare il campo da equivoci, inizia la prima lezione mostrando agli alunni una cartina geografica che ingloba l’isola di Taiwan all’interno del territorio cinese, come pure le Isole Paracelse, nel Mar cinese meridionale. Così, il giorno in cui avverrà l’invasione militare, saranno già formati gli agenti esperti che potranno spiegare ai propri connazionali che era giusto schiacciare la resistenza anticomunista e imprigionare gli esponenti contro-rivoluzionari.
È l’attuazione pratica di quanto denunciato dal Rapporto di Sinopsis e del Comitato Globale per lo Stato di Diritto Marco Pannella, anticipato da Libero: «La propaganda esterna (“exoprop”), è una componente fondamentale del lavoro di propaganda, con agenzie specializzate tra cui organi di informazione in lingua straniera, enti controllati da agenzie di propaganda – come i Ministeri dell’educazione, della cultura e del turismo – e avamposti stranieri come gli Istituti Confucio». In Francia hanno capito che si tratta di un’opera di penetrazione nella mentalità da parte del totalitarismo rosso e, per primi al mondo, a Noisy-le-Grand, alla periferia esterna di Parigi hanno avviato una collaborazione con l’Association Linguistique et Culturelle Chinoise, che fa capo al governo di Taiwan, per promuovere i corsi di lingua mandarina.
In questo caso si tratta di valori compatibili con i diritti umani, calpestati invece quotidianamente nella Cina comunista. È ancora poco per sfidare il sistema che conta più di 500 Istituti Confucio in oltre 134 Paesi. Ma, dopo la Francia, anche in Svezia, nei Paesi Bassi, in Belgio, negli Stati Uniti e in Canada ne hanno chiuso le filiali perché considerate una sovrapposizione e un’emanazione degli apparati di sicurezza statale di Pechino, il cui personale svolgerebbe opera di spionaggio o cercherebbe di soffocare la ricerca accademica indipendente sulla Cina. Non è l’unica minaccia. Le preoccupazioni sulla sicurezza sono anche più serie. Negli Stati Uniti, la CIA protegge l’incolumità – fornisce loro una nuova identità e talvolta li fa passare addirittura per deceduti – dei dissidenti fuggiti da Paesi totalitari come la Repubblica Popolare Cinese proprio perché gli Istituti Confucio fungono da sistema informativo per le “squadre di cacciatori” comunisti che cercano attivamente i “traditori della Patria”.
Uiguri, tibetani e Falun Gong rifugiati all’estero sono i primi obiettivi, ma in base a un articolo di legge cinese che in teoria rende possibile colpire chiunque critichi il regime all’estero, anche gli attivisti per i diritti umani potrebbero essere rapiti e rinchiusi in Cina. Altri strumenti vanno aggiungendosi all’arsenale cinese. Da oggi al 25 novembre, a Istanbul, l’Interpol eleggerà i propri vertici, fra i quali potrebbe esserci anche un rappresentante di Pechino, individuato dalle agenzie umanitarie in Hu Binchen, alto funzionario del ministero della Pubblica sicurezza, l’apparato repressivo che il regime utilizza come scure sui dissidenti. Il pericolo che anche il network delle polizie mondiali possa essere strumentalizzato è altissimo.
(Fonte: “Libero”)