Abbiamo già affrontato in un altro articolo il tema delle molestie in Piazza Duomo la notte di Capodanno. Riprendiamo da dove siamo rimasti. L’On.Souad Sbai, presidente dell’Associazione delle Comunità delle Donne Marocchine in Italia (ACMID – DONNA) e responsabile del Dipartimento integrazione e rapporti con le comunità straniere presenti nel nostro Paese della Lega, sottolinea che al contrario di quanto avviene per esempio in Paesi islamici come il Marocco e la Tunisia, dove certi soggetti vengono emarginati e puniti severamente, c’è sempre una sorta di “laissez faire”, quando certi crimini sono compiuti dagli immigrati o da italiani di seconda generazione. Manca la certezza della pena e spesso ci sono i “soliti” buonismo, relativismo, multiculturalismo, politicamente (e soprattutto islamicamente) corretto. Vengono sempre denunciati da una certa parte politica, ma è frequente che non si capisca il pericolo che rappresentano. Portano a giustificare ogni violenza, in particolare se compiuta da musulmani, “perché quella è la loro cultura” e “perché tanto lo fanno anche gli italiani”.
Inoltre se gli aggressori fumano, si danno all’alcol ed iniziano la loro “carriera” criminale come delinquenti comuni (per esempio commettendo piccoli furti o spacciando), si tende ad allontanare qualsiasi correlazione persino con l’integralismo islamico (il quale non è altro che islam deviato), senza ricordare che gli attentatori del Bataclan, prima di “colpire”, hanno fatto le stesse cose.
La politica e il giornalismo non possono ignorare o annacquare le questioni, come molto spesso è stato fatto anche nel caso delle molestie in Piazza Duomo. Il sindaco di Milano Beppe Sala ha sì, espresso solidarietà alle ragazze aggredite nella città che amministra, ma non è trascurabile che abbia atteso addirittura undici giorni. Evidentemente sempre per lo stesso timore: evitare le accuse di razzismo, xenofobia ed islamofobia! Invece chiunque sia il violento, va denunciato! Indipendentemente dalla nazionalità, dall’etnia, dal colore della pelle e dalla religione! Sono gli aggressori, ad essere razzisti nei confronti delle vittime e del Paese in cui vivono! E’ necessario parlarne senza nascondere i fatti, per scongiurare che ne succedano di ancora più gravi!
Come si può fare, perché i giovani estremisti (femmine incluse, purtroppo) cambino mentalità o non diventino estremisti affatto? Ebbene, è necessario elaborare e diffondere altre “narrazioni” diverse da quelle dell’islam integralista. Bisogna integrare questi ragazzi, puntando sulla scuola (dove spesso questi e soprattutto queste per motivi maschilisti non vanno più!); sull’istruzione e sull’insegnamento dell’educazione civica. Anche la reintroduzione del servizio militare potrebbe essere utile. Purtroppo i vari lockdown complicano le cose, perché isolano ancora di più questi ragazzi, impedendo loro la socialità. Nonostante la situazione, però, vediamo gli sbarchi di migranti irregolari aumentano anziché diminuire. Nei Paesi dell’Unione europea, nel 2021, ne sono arrivati quasi 200mila. Una cifra che non si vedeva prima della pandemia.
Con queste persone deve intervenire lo Stato, rafforzando il senso di identità, il senso di appartenenza all’Italia, utilizzando anche i suoi simboli; mettendo in chiaro che la sottomissione della donna (come se fossimo indietro di anni, secoli o millenni) non è ammessa per nessun motivo, incluso il disagio sociale.
La sinistra ha attaccato il tennista serbo Novak Djokovic, perché non ha rispettato le regole del Paese che l’ha ospitato, ma non lo pretende dagli immigrati o italiani di seconda generazione qui da noi. In queste condizioni ci troveremo sempre a che fare con giovinastri che aggrediscono e insultano ragazze che non indossano il velo o con uomini come Mohamed El – Ayani, cittadino marocchino condannato a 30 anni di reclusione perché, il 19 novembre del 2011 a Sorbolo Levante, frazione di Brescello in provincia di Reggio Emilia, ha ucciso a martellate dopo anni di violenze la moglie, Rachida Radi, 35 anni, madre delle sue bambine, di 4 e di 11. La povera Rachida ha pagato per essersi voluta togliere il velo; perché dopo aver ottenuto il traguardo della separazione dal “marito – padrone”, voleva il divorzio; per essersi voluta integrare; per aver voluto cercare di imparare l’italiano; per aver fatto volontariato in parrocchia; per essersi di fatto convertita al cristianesimo e per aver fatto le pulizie in chiesa, per poter pregare liberamente. Nonostante ciò nessuno, neanche della comunità cristiana e delle sue istituzioni, reclamava il corpo di quella che l’On.Sbai ha definito “una martire che la Chiesa dovrebbe dichiarare ‘Serva di Dio’”, per dargli sepoltura. La presidente dell’ACMID – DONNA, dopo 50 giorni, è stata contattata da un carabiniere per sapere cosa dovessero fare del cadavere! Così con la sua associazione si è offerta di pagare le esequie ed il trasferimento in Marocco della salma, dove vive la famiglia d’origine di Rachida; come in altri casi simili si sono costituite parte civile nel processo contro El – Ayani e abbiamo lanciato l’allarme per le figlie della vittima.
Souad Sbai ne parla penultimo libro “Rachida. Un’apostata in Italia” (terza pubblicazione Curcio Editore 2021). Il suo è stato il primo caso di donna musulmana convertita al cristianesimo, uccisa dal marito anche su pressione della sua comunità.
Anche per evitare casi come questi, serve dare delle regole; altrimenti rischiamo un grave fallimento dell’integrazione. Ciò non significa necessariamente assimilazione, ma tutti devono accettare i principi fondamentali del vivere civile.
Non possiamo poi chiamare a giustificazione i problemi psichici, con certi che delinquono; perché hanno un’ideologia ben precisa. Va però ricordato che la radicalizzazione e il proselitismo sono possibili pure in carcere, come spesso sentiamo dai media, quado riportano un fatto di cronaca: “Si era radicalizzato in carcere”, si precisa. Accade perché sono detenuti imam che, anche da dietro le sbarre, possono continuare a predicare odio e ad ordinare sentenze di morte.
Il fatto che gli esponenti di sinistra, in Italia ma anche in Francia (dove hanno cominciato a “muoversi”, però solo dopo gli attentati che hanno subito) e in tutta l’Unione europea, non capiscano queste cose, li rende complici involontari.
Per esempio, ripetiamo, considerando gli stupri e la misoginia come questioni culturali o multiculturali. Il fatto che ci siano anche italiani che violentano e siano misogini, non deve essere una scusa. Non deve esserlo prima di tutto per il numero complessivo della popolazione italiana (60milioni): anche chi fa certe cose nella popolazione islamica, è una minoranza; però non mi risulta che ci siano branchi di italiani (non convertiti, s’intende) così organizzati e numerosi come quelli di Piazza Duomo, pronti a molestare donne! Il fatto che ci siano italiani violenti e misogini, non deve essere una scusa nemmeno perché non vogliamo importare altri problemi simili. Bisogna tenere gli occhi bene aperti, perché come già detto, questa gente ha un progetto a lungo termine; non ha immediate conseguenze e per questo è più subdolo, ma non significa che non ci sia.
Bisogna tenere d’occhio chi potrebbe fornire aiuto ai molestatori di Capodanno. Alcuni arrestati erano in procinto di fuggire in Francia, come aveva fatto il cittadino pakistano Danish Hasnanin, zio di Saman Abbas, estradato in Italia perché accusato di aver ucciso la nipote con il consenso e la complicità della sua famiglia, poiché lei rifiutava un matrimonio combinato in Pakistan e voleva “vivere all’occidentale”. Questo ci ricorda un’ altra giovane pakistana: Hina Saleem, che a 20 anni è stata uccisa dal padre a Sarezzo, in provincia di Brescia, l’11 agosto del 2006; ci ricorda anche la 18enne marocchina Sanaa Dafani, uccisa sempre dal padre e con la stessa tremenda modalità (sgozzamento) a Montereale Valcellina, in provincia di Pordenone. Si ricorderà che entrambe avevano fidanzati italiani con cui convivevano, mentre Saman sognava di sposare un giovane di origine pakistana nato in Italia.
Bisogna tenere d’occhio i Fratelli Musulmani, di cui tra l’altro Souad Sbai ha parlato nel suo ultimo libro “I Fratelli Musulmani e la conquista dell’Occidente. Da Istanbul a Doha, la linea rossa del Jihad” (Curcio, 2018”). I Fratelli Musulmani sono un’associazione fondata dal punto di vista organizzativo ed ideologico nel 1928 nella città di Ismailiyya, in Egitto, dall’insegnante elementare locale ma soprattutto religioso estremista Hassan al – Banna (immediatamente contrastato dalla monarchia egiziana, che giustamente intendeva mantenere laica la società). Il suo “erede spirituale” fu un altro celeberrimo ideologo del movimento: Sayyid Qutb. Il primo era il nonno materno del controverso accademico, saggista e teologo con cittadinanza svizzera Tariq Ramadan, che fino a qualche anno fa era acclamatissimo, intervistatissimo ed invitatissimo in Occidente (Italia inclusa) come “intellettuale musulmano moderato”, ma qualcuno lo accusava di “doppio linguaggio” (“taqiyya, “dissimulazione”) a seconda che parlasse ad un pubblico occidentale o ad pubblico islamico (come fa anche “Al – Jazeera”); era accusato anche di antisemitismo per i suoi discorsi su Israele e il conflitto israelopalestinese; di sostenere posizioni ambigue sul terrorismo e per finire è stato arrestato in Francia dopo essere stato accusato da alcune donne di stupro e molestie che avrebbe commesso tra il 2009 e il 2012.
I Fratelli Musulmani si presentano appunto come “moderati” (magari vestendosi all’occidentale come Ramadan), ma sono anche responsabili di attacchi terroristici per conquistare l’Occidente, avendo come “basi” gli Stati islamici che intendono creare nel mondo arabo e islamico, magari sempre a “suon” di attentati.
Lo spiega un documento di eccezionale importanza; un documento di 14 pagine datato 1982, intitolato guarda caso “Il Progetto”. E’ stato trovato dagli inquirenti nel 2001, anno degli attacchi alle Torri Gemelle l’11 settembre, nella casa in Svizzera (ancora una volta la ricca Svizzera!) di colui che può essere considerato il “ministro degli Esteri” della Fratellanza: l’uomo d’affari e stratega finanziario egiziano, oggi 90enne, Youssef Nada, accusato dagli Stati Uniti (peraltro niente affatto immuni dalle influenze dell’organizzazione) di essere uno dei finanziatori di al – Qaeda.
I contenuti de “Il Progetto” sono stati resi noti in un libro – inchiesta: “La conquista dell’Occidente: il progetto segreto dei Fratelli musulmani”, scritto da un giornalista franco-svizzero, Sylvain Besson, e pubblicato nel 2005. E’ stato tragicamente preveggente di ciò che sarebbe avvenuto.
Il documento della Fratellanza consiste in 25 punti. Tracciano le “linee guida” ed illustrano come si devono comportare i membri e le organizzazioni affiliate che hanno sede nei Paesi occidentali. Devono creare una sorta di rete.
Il modus operandi non esclude la taqiyya con gli “infedeli”. Mira a catturare informazioni da inserire poi in un database; condizionare i media a proprio favore; creare gruppi di pressione e di studio; inserirsi nelle università, in modo da propagandare l’ideologia della Fratellanza. Senza dimenticare l’attività sociale in scuole, ospedali ed organizzazioni umanitarie e non governative, né quella politica nei partiti e nei sindacati unicamente per propugnare la causa dell’integralismo islamico e plagiare le menti dei giovani musulmani. Non certo per fede negli ideali democratici!
In questo “progetto”, però, sono loro malgrado molto utili i partiti democratici e progressisti occidentali e come abbiamo detto, la stessa Unione europea e il Governo degli Stati Uniti.
Perché al loro interno si esalta la diversità e si tende a farlo persino quando è deleteria e discriminatoria, per esempio con la “libertà della donna di indossare il velo”. Si riconosce la “Giornata Mondiale del Hijab”, mentre sappiamo benissimo cosa può succedere a ragazze e donne che non lo portano. La Commissione europea e il Consiglio d’Europa hanno addirittura lanciato una campagna, che ovviamente ha suscitato un mare di polemiche. Il manifesto, in inglese, mostra sopra la scritta “Beauty is in diversity as freedom is in hijab”: “La bellezza è nella diversità come la libertà sta nel hijab”. Come se la libertà fosse solo quella di indossarlo! Come se le ragazze che non lo fanno, non fossero libere!
Sotto la frase c’è una ragazza sorridente metà velata e metà no e sulla destra il quesito “How boring would be the world if everyone would look the same?”: “Come sarebbe noioso il mondo, se tutti avessero lo stesso aspetto?” (praticamente se fossero uguali). Ancora più sotto c’è l’invito: “Celebrate la diversità e rispetta l’hijab”. Poi ci sono le bandiere dei finanziatori.
La “libertà del velo” (ed altre libertà) è stata rivendicata anche negli Stati Uniti durante la “Women’s March” del 2019 contro Trump. Veniva esibito un cartello con una donna velata della bandiera americana. Alla manifestazione hanno partecipato anche personalità (velate) come l’ “attivista per i diritti umani” Linda Sarsour, nata a New Work da genitori palestinesi. Sarsour è stata proprio co-presidente della marcia del 2019 come quella del 2017. Inoltre è stata direttrice esecutiva dell’Arab American Association di New York. Con lei alla manifestazione c’era anche un altro personaggio controverso, Ilhan Omar, di origine somala, membro della Camera dei Rappresentati del Minnesota e del Congresso per il suo Stato. E’ stata la prima donna somala e la prima musulmana a ricoprire una carica negli Stati Uniti insieme alla compagna di partito eletta alla Camera dei Rappresentanti del Michigan e al Congresso, Rashida Tlaib, di origine palestinese (lei non è velata, ma ha giurato sul Corano come aveva già fatto un predecessore del Minnesota del 2006, Keith Ellis, convertito, e su Israele e Palestina la pensa come le colleghe). Intanto l’attuale presidente americano Joe Biden ha fatto ritirare in fretta e furia l’esercito americano dall’Afghanistan, dove la condizione delle donne sta tornando indietro di vent’anni.
Fortunatamente, come abbiamo visto, c’è qualcuno si accorge del potere strisciante dei Fratelli Musulmani in Occidente. Per esempio l’antropologa francese Florence Bergeaud Blackler, che su “Le Figaro” ha denunciato (anzi è tornata a denunciare) come organizzazioni legate all’organizzazione fondata da Hassan al – Banna siano entrate in progetti di studio finanziati dall’Unione europea, in particolare per quanto riguarda la ricerca sociale. Promuovono ideologie relativiste in merito ai diversi popoli e culture e neo-femministe. In questo modo paradossalmente si rilegge la cultura attraverso il prisma dell’ “islamizzazione della conoscenza”; le scienze sociali vengono presentate da un punto di vista islamico, politicamente corretto e a quanto pare, timoroso di offendere qualcuno. Nel 2020, in un articolo sul portale “Le Point”, Bergeaud Blackler sottolineava che non si può da una parte combattere sul nostro territorio contro il terrorismo e dall’altro lasciare che l’Ue fomenti le ideologie che gli hanno spianato la strada. La studiosa ha assolutamente ragione.
Ha lamentato che un progetto di ricerca, per essere accolto, deve essere “innovativo, inclusivo, interconnesso”. Tre aggettivi nebulosi che si possono spiegare così: lo jihadismo può essere studiato solo se si studia anche un altro tipo di radicalismo, sebbene non ad esso correlato. In Francia, per affrontare il problema dei jihadisti e dei loro figli rimasti sul territorio, è stato redato un bando “per il disimpegno e il reinserimento degli estremisti delinquenti e dei soggetti radicalizzati legati alla destra violenta e all’estremismo islamista, compreso il ritorno dei combattenti terroristi stranieri e delle loro famiglie”. In questo modo, che pretende appunto di essere “innovativo, inclusivo, interconnesso”, si prediligono alcune teorie (a quelle che abbiamo già citato poco sopra, aggiungiamo quelle antirazziste ma basate su un concetto razzista, intersezionali e postcoloniali), non fornendo risposte a problemi concreti, ma piuttosto formulando nuove domande. Naturalmente certe critiche non sono state accettate dalla Commissione europea, che le ha bollate come “razziste”, “islamofobe”, discriminatorie e in pratica contrarie al progetto comune dell’Unione europea. E’ successo nel 2015, quando un eurodeputato belga, ha sottolineato che la Commissione aveva finanziato associazioni vicine ai Fratelli musulmani, tra cui una fondata da Tariq Ramadan. Si badi che il 2015 è stato l’anno degli attacchi alla sede di “Charlie Hebdo”, al “Bataclan” e al negozio ebraico “Hyper Cacher”, dopodiché, come a voler sviare l’attenzione dalle vittime, tra cui anche dei musulmani, è stato nominato un “coordinatore contro l’odio (occidentale, ndr) anti-musulmano”. Naturalmente poi le organizzazioni legate ai Fratelli Musulmani e riunite nella “Coalizione europea contro l’Islamofobia” (CCIF), ne hanno approfittato per chiedere che anche la politica si battesse contro di essa, che spesso è solo un modo per tagliare la lingua a chi attacca l’estremismo e il terrorismo di matrice islamica. La Commissione, ha sottolineato Bergeau Backler, non ha protestato.
Addirittura la CCIF ha voluto la rimozione dalla carica di David Friggieri, il primo coordinatore, accusandolo di aver avuto rapporti con “figure molto discutibili che alimentano l’islamofobia”. Come se ci fosse fosse una legge anti-blasfemia, come quella che è in vigore in Pakistan per discriminare e zittire i non musulmani, in particolare i cristiani.
Il secondo coordinatore è stato l’italiano Tommaso Chiamparino, figlio dell’esponente Pd Sergio, ex sindaco di Torino tra il 2009 al 2010 (ai cittadini che manifestavano contro l’apertura di una moschea per 700 persone rispose che il luogo di culto islamico era una “battaglia di civiltà”) e Presidente della Regione Piemonte. Chiamparino jr è entrato in carica il 1° luglio del 2018. Con lui le cose vanno “molto meglio” e, sottolinea sempre Bergeau Backler, le ong della Commissione europea, guadagnano!
Per contrastare la radicalizzazione, bisogna ovviamente controllare Internet, molto utilizzato dai giovani e dove spesso vengono esaltati personaggi legati alla Fratellanza come l’ex presidente egiziano Mohamed Morsi, morto sotto processo nel 2019, il presidente turco, Tariq Ramadan e lo Sheikh Yousuf Al – Qaradawi, egiziano, volto noto di Al – Jazeera e sobillatore della “Primavera araba”.
L’argomento è affrontato anche dal libro – inchiesta “Qatar Papers – Come l’emirato finanzia l’Islam in Francia e in Europa” (Lafon, 2019), scritto da due giornalisti francesi, Christian Chesnot e Georges Malbrunot. Il testo contiene prove che, tra il 2013 e il 2014, assegni e trasferimenti di denaro dal Qatar attraverso la principale organizzazione non governativa del Paese, la “Qatar Charity”, nata nel 1992, sono stati utilizzati per attuare oltre 140 progetti in Europa, per cercare di espandere l’influenza della Fratellanza con l’attività dei suoi membri sul territorio, moschee e associazioni, scuole e case editrici. Ci sono state “donazioni” pari a centinaia di migliaia di euro (72 per la precisione) a gruppi presenti in Francia, Germania, Svizzera, Balcani, Gran Bretagna e in primis in Italia. Il tutto è dettagliatamente documentato prendendo in considerazione ogni singolo Paese. Soffermandoci solo sul nostro, sono stati stanziati oltre 50 milioni di euro per 45 progetti. Ci sono le conferme (fatte a voce a Chesnot e Malbrunot) prima di tutto di beneficiari dei finanziamenti in tutto il Paese, poi di email e versamenti.
Qaradawi stesso ha spiegato ad al – Jazeera nel 2007 quanto siano importanti l’Italia e la sua Capitale per la Fratellanza: “La conquista di Roma (ovviamente simbolo del cattolicesimo, ndr), la conquista dell’Italia e dell’Europa – ha detto il religioso islamico -significa che l’Islam tornerà in Europa ancora una volta (…). La conquista si farà con la guerra? No, non è necessario. C’è una conquista pacifica (e) prevedo che l’Islam tornerà in Europa senza ricorrere alla spada. (La conquista) si farà attraverso la predicazione e le idee.” “Qatar Papers” fornisce anche dei riferimenti precisi di luoghi dove questo avviene in Italia.
Il discorso sull’islamizzazione del nostro Paese e dell’Europa è ancora molto lungo, ma anche quello che abbiamo detto non si può ignorare, visto che ci sono documenti scritti.
Il sito emiratino in inglese “The National News” (ricordiamo tra l’altro che gli Emirati Arabi Uniti, l’Egitto, Arabia Saudita e Bahrein fanno parte del Quartetto arabo anti-terrorismo che si era opposto a Qatar, Turchia ed Iran, i “Fratelli Musulmani sciiti”, e ha persino ed esortato l’Occidente a stare in guardia da questi “stati canaglia”) fa presente che il libro “Qatar Papers” parla specificatamente anche di Tariq Ramadan. Si racconta che questi venisse (e venga) pagato 35 euro al mese come consulente della onlus “Qatar Foundation for Education, Science and Community Development” (o semplicemente “Qatar Foundation”), fondata nel 1995 da coloro che l’anno successivo finanziarono anche l’emittente Al – Jazeera: i genitori dell’attuale emiro Tamim bin Hamad al – Thani, Hamad bin – Khalifa (che nello stesso anno depose il padre con un colpo di stato) e la sua seconda moglie (di tre), la bellissima e affascinante Sheikha Mozah bint Nasser al – Missned, appassionata di moda compresa quella italiana, tanto da acquistare nel 2012 una delle eccellenze italiane nel campo: la maison di Valentino.
Poco prima dell’arresto di Ramadan ai primi di febbraio del 2018, i documenti bancari evidenziano che egli aveva prelevato 590.000 euro dai conti bancari del Qatar. Gli autori di “Qatar Papers” sottolineano come l’accademico (dell’Università di Oxford, che a sua volta ha ricevuto cospicui finanziamenti dal Paese arabo) e sua moglie avessero acquistato, sempre quattro anni fa, due appartamenti in due esclusive zone di Parigi.
I fondi provenienti dall’emirato, sono “devoluti” a figure ed enti di spicco de Fratelli Musulmani come il “Musée des civilities de l’Islam” (Mucivi) di Ginevra, dedito alla propaganda. Ha ricevuto 1,4 milioni di franchi svizzeri. Si vocifera che la polizia svizzera esprima frustrazione per non poter indagare sugli Affari della Lega Musulmana nel Paese, perché è un’organizzazioni religiosa, ma può indagare solo sul terrorismo …
Alessandra Boga