Spoleto, terrorista a 18 anni. «Dalla cameretta incitava alla Jihad» – L’operazione del Ros di Bologna arriva in Umbria con l’arresto di una diciottenne di origini algerine.
Trascorreva le sue giornate dentro casa, perlopiù al telefonino o davanti al computer. Nessuna amicizia, se non quelle virtuali, e pochissimi contatti esterni. Eppure, la diciottenne spoletina, di origini algerine, arrestata il giorno della vigilia di Natale dai carabinieri del Ros, nell’ambito di un’indagine della Procura di Bologna, coordinata dalla procura nazionale antimafia e antiterrorismo, sui social non condivideva foto o video divertenti, come fanno gran parte dei suoi coetanei, ma promuoveva la Jihad, la guerra santa contro gli infedeli.
Nelle circa 40 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare, sono riportati i post, le storie e le chat che, secondo gli investigatori, testimonierebbero come la giovane, nata a Spoleto a fine aprile del 2006, fosse tra le fondatrici e promotrici di una ipotizzata associazione terroristica e, insieme a una 22enne pakistana residente a Bologna, incentivasse la causa jihadista sui social, dove cercava di fare proselitismo e di organizzare raccolte fondi per sostenere le famiglie dei prigionieri.
L’accusa a carico della ragazza è pesantissima: istigazione a delinquere e associazione con finalità di terrorismo.
I carabinieri, nel blitz effettuato martedì mattina nell’abitazione di San Giacomo, la frazione in cui viveva con i genitori e il fratellino più piccolo, gli hanno anche sequestrato telefono e computer, dove cercheranno riscontri al corposo materiale già raccolto in mesi di indagini. I social in cui postava i contenuti al centro delle indagini sono quelli prevalentemente frequentati dai giovani: TikTok e Instagram, ma anche X (ex Twitter) e telegram. Secondo i carabinieri, il gruppo di giovani (cinque indagati, di cui quattro in carcere) era pronto ad azioni violente e la stessa giovane spoletina sognava di portare la «la legge islamica a Roma, di vivere nello Shaam, nei Paesi come Siria e Palestina, con imposizione della Sharia».
In alcune delle chat finite nel mirino degli inquirenti, peraltro, la giovane esprimeva preoccupazione per il fratello più piccolo, vedendo come una minaccia la sua formazione nella scuola primaria e si diceva decisa a «rimetterlo in riga» per evitare che la cultura occidentale influenzasse negativamente la sua formazione. La ragazza, incensurata, è detenuta nel carcere di Capanne, a Perugia, dove oggi, alle 13, è fissato l’interrogatorio di garanzia. Assistita dall’avvocato Sabrina Montioni, del foro di Spoleto, la giovane sarà sentita, da remoto, dal Gip di Bologna, Andrea Salvatore Romito. La difesa, data l’incensuratezza della ragazza, chiederà molto verosimilmente un alleggerimento della misura cautelare.
Quando la 18enne sia entrata in contatto con l’amica pakistana e con il resto del gruppo non è noto, ma il sospetto è che l’isolamento del periodo del Covid abbia in qualche modo contribuito alla formazione di questo circuito virtuale. I primi post di cui si fa riferimento nel provvedimento cautelare, comunque, risalgono al 2023, quando la ragazzina era ancora minorenne. Insieme alla 22enne residente a Bologna i contatti, via chat, erano molto frequenti. Le ragazze condividevano il bisogno di attivarsi per punire gli infedeli: «Arriverà il nostro momento», dicevano in una chat del maggio scorso. Dalle chat emerge anche la consapevolezza, per certi versi, di essere spiate. Ma se da un lato consigliavano accortezze per non essere scoperte dalle forze dell’ordine, dall’altro ostentavano sicurezza e affermavano di non avere paura, anzi, di cercare loro stesse le chiavi del carcere se messe davanti a un bivio. In cella le due giovanissime ci sono finite, insieme al fratello 19enne della leader bolognese e al ‘bro turco’ 27enne che a Monfalcone (Gorizia) faceva proselitismo online e nei due kebab che gestiva. La misura cautelare riguarda anche un quinto indagato, un 20enne di origine marocchina residente a Milano, «arruolatosi» in Etiopia a novembre. Tutti under 30, quindi, accusati a vario titolo di aver costituito o fatto parte di un gruppo terroristico di ispirazione salafita chiamato «Da’wa Italia», tradotto: «Chiamata Italia». L’obiettivo era fare proseliti e sostenere la causa jidhaista. Per le due ragazze l’indottrinamento iniziava tra le mura di casa, molto verosimilmente all’insaputa dei familiari, come emerso in prima battuta nel caso della 18enne spoletina. Gli inquirenti hanno motivato principalmente le esigenze cautelari con il rischio di reiterazione del reato e, ancor più, il pericolo di fuga. Dall’attività emerge chiaramente come la spoletina avesse mostrato interesse per raggiungere Paesi africani. La giovane, peraltro, insieme alla 22enne di Bologna, era secondo gli inquirenti ossessionata per la divulgazione in lingua italiana di concetti ispirati alla Jihad e per un incessante proselitismo. Insieme avevano fatto anche tradurre, in italiano e in inglese, un libro per bambini, «Il piccolo musulmano», declinandolo in chiave violenta.