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DELITTO DIPLOMATICO L’omicidio di Attanasio e Iacovacci in Congo

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DELITTO DIPLOMATICO L’omicidio di Attanasio e Iacovacci in Congo

DELITTO DIPLOMATICO L’omicidio di Attanasio e Iacovacci in Congo

Inchiesta di FAUSTO BILOSLAVO ANTONELLA NAPOLI STEFANO PIAZZA MATTEO GIUSTI. Prefazione Toni Capuozzo

Con questo libro scritto a più mani abbiamo cercato di dare un contributo fattivo al raggiungimento della verità e della giustizia sull’agguato in cui hanno perso la vita Luca Attanasio, Vittorio Iacovacci e Mustapha Mi- lanbo. Un impegno che va ben oltre il giornalismo.

Tutti noi ci auguriamo che il nostro Paese faccia la sua parte affinché venga fatta piena luce sulla loro uccisione. Che la verità sia una «questione» prioritaria. Per chi scrive, lo sarà. Fino in fondo. Spronati da un’eco che da ben dodici mesi rimbomba dentro e amplifica la volon- tà di andare avanti nella ricerca di un perché.

Perché un ambasciatore incontra uomini potenti, classi dirigenti, tesse relazioni con ministri e imprenditori, e si avvia su una strada sterrata in mezzo a una foresta per andare a vedere cosa si può fare per chi muore di fame? E perché viene ammazzato per questo?

Luca Attanasio era esattamente quel tipo di ambasciatore che la storia del nostro Paese più volte ci ha regalato: un uomo di grande competenza ma soprattutto di straordinaria umanità, quella che permette a certe persone di distinguere tra ciò che è giusto e ciò che non lo è; un uomo pronto a schierarsi dalla parte di quelli che è doveroso aiutare.

Chiunque lo incontrasse, percepiva all’istante la bontà e la semplicità che emanava. Portare solidarietà a chi operava in luoghi estremamente disagiati era per lui una priorità, per quanto ostico e pericoloso fosse. Qualcosa di molto diverso da quanto qualcuno pensa e racconta della vita dei diplomatici. Tutto doveva essere previsto, tutto doveva essere sotto controllo, mezzi blindati e droni compresi. Così non è stato, e serve spiegarne le ragioni.

Da cui questo libro, che vuol essere una prima pietra sulla strada della giustizia, nel rispetto e in attesa che la magistratura faccia il suo corso.

LUCIANO TIRINNANZI

La storia di Luca Attanasio è un labirinto di dubbi e certezze. Queste ultime, in particolare, si intuiscono anche solo a guardarne le fotografie, sopravvissute in rete.

Era un ambasciatore che assomigliava a un volontario: non c’è neppure una foto ligia ai cerimoniali, e in tutte sta in mezzo e accanto a bambini africani. Certo, sappiamo di lui che era comunque inappuntabile nel suo ruolo di rappresentante della Repubblica, anche nella forma, nei compiti più istituzionali e, naturalmente, negli espletamenti burocratici. Ma aveva l’entusiasmo, la passione, e persino lo stile di un ambasciatore che chiameremmo ragazzino, se non temessimo di sminuirne lo spessore e persino il contributo teorico.
Quello che appare chiaro, sino a essere luminoso, a percorrere questi tratti della sua vita, è anche che Luca Attanasio interpretava la diplomazia come una speranza, come un’opportunità per risolvere problemi, come una vocazione a servire: lo Stato, ma anche un’umanità che a quello Stato e a quella diplomazia sarebbe stata grata.

Le strettoie dei dubbi appartengono invece ai momenti finali della vita dell’ambasciatore. Non occorre essere degli investigatori per trovare strano che si sia definito «convoglio» un corteo di due sole automobili, su Delitto Diplomatico una strada molto pericolosa. E non occorre esserlo per trovare singolare che entrambi i veicoli non fossero blindati, e che l’unica difesa fosse il bravo e inerme carabiniere Vittorio Iacovacci, armato solo di un’arma corta e di buona volontà.
Non occorre essere abituati ai conflitti per rimanere perplessi davanti a un preteso sequestro, che si apre con l’esecuzione dell’autista e si chiude con una sparatoria tra aggressori e Rangers intervenuti sul luogo. Una sparatoria nella quale incredibilmente gli unici due a venire raggiunti dai molti colpi esplosi sono stati esclusivamente l’ambasciatore italiano e la sua guardia del corpo. È come se ci trovassimo di fronte a un’esecuzione ravvicinata, e semmai la dinamica appare quella di un agguato mirato, e non certo di una rapina o di un sequestro abortito.
Non occorre essere diffidenti, sospettosi o pieni di malizia, infine, per trovare curioso che un funzionario italiano si senta male proprio quel mattino, e rinunci insolitamente a partecipare al viaggio verso una scuola
dove si celebra un programma alimentare delle Nazioni Unite. Così come non occorre essere dei moralisti per indignarsi davanti al fatto che il direttore del World Food Program delle Nazioni Unite a Goma – un italiano presente nel «convoglio» – abbia ostinatamente e inspiegabilmente rifiutato di testimoniare sull’accaduto.

Naturalmente, non è facile condurre un’inchiesta giudiziaria in Congo, tantomeno se riguarda quella tormentata regione orientale. E chiaramente bisogna resistere alle tentazioni dietrologiche. Tuttavia, sarebbe a dir poco vergognoso arrendersi alla casualità e non cercare risposta alle domande-chiave di questa oscura vicenda: chi aveva infastidito Luca Attanasio? Che cosa poteva aver scoperto? Quali nemici si era fatto con la sua ansia di trasparenza, con la sua innocenza poco accomodante?
Anche in luoghi in cui la vita vale poco, non si uccide mai per niente. Nei giorni del tracollo afghano, abbiamo tutti tratto qualche ragione di orgoglio dal comportamento di un giovane funzionario dell’ambasciata italiana, ritratto mentre aiutava un ragazzino nella confusione disperata dell’aeroporto di Kabul. Non abbiamo fatto a tempo a scoprirlo, ma dovremmo provare lo stesso sentimento davanti alla vita e alla morte dell’ambasciatore Luca Attanasio e al sacrificio del suo accompagnatore Vittorio Iacovacci. Per mantenerne vivo il ricordo, per reclamare giustizia attorno alla loro morte, per diffonderne tra i giovani l’esempio. Ecco le ragioni semplici che stanno dietro alla realizzazione di questo libro.

TONI CAPUOZZO

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Redazione

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