Intervento della Maryam Rajavi president eletta del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana 5 marzo 2022
SI PUO’ E SI DEVE
IL DISCORSO IN OCCASIONE DELLA GIORNATA MONDIALE DELLA DONNA
Vi auguro un buon 8 marzo e una buona Giornata mondiale della donna, la festa di coloro che si sono mobilitate per la libertà e l’uguaglianza, la festa dei senza voce che sono la vera voce dell’umanità.
La Giornata mondiale della donna è la festa delle persone maggiormente private dell’opportunità di acquisire capacità, coloro che oggi in tutto il mondo sono esempi di capacità e responsabilità.
Auguro un buon 5 marzo a tutte le mie sorelle in tutto il mondo.
Alle care sorelle afgane che pur subendo gravi soprusi e dolore non hanno smesso di avversare il fondamentalismo, e in questo cammino hanno accompagnato le loro sorelle della resistenza iraniana.
Alle mie care sorelle in Siria, Iraq, Yemen, Palestina, Libano ed altri paesi della regione, ove nonostante tutte le ingiustizie e disuguaglianze rappresentano la linfa della speranza e la rivoluzione.
E oggi i più calorosi saluti vanno al valoroso popolo ucraino, in particolare alle coraggiose donne ucraine.
Milioni di donne e ragazze tra cui ministre, parlamentari, persino madri anziane, che mobilitandosi per la libertà hanno abbracciato le armi scendendo sul campo numerose.
Le madri che lasciano i bambini in custodia agli altri per partecipare alla lotta e le ragazzine sorridenti che con morale alle stelle preparano le molotov.
In me evocano il ricordo delle donne e ragazze mojahed che nel corso del genocidio dei nostri prigionieri nel 1988 ordinato da Khomeini hanno affrontato il patibolo pugni serrati e slogan infuocati.
La resistenza del popolo ucraino, oltre ad essere l’epopea della difesa dell’onore e della loro stessa esistenza, è anche una svolta per quanto concerne il ripristino della cultura del resistere e lottare nel modo odierno.
Loro si sono ribellati, sfidando l’immobilismo e la compiacenza dell’occidente. Hanno lottato inducendo il mondo intero ad appoggiarli. Hanno iniettato forza e determinazione ai loro soldati e alla loro gente.
Permettete di dedicare la giornata mondiale della donna di quest’anno alle donne della resistenza ucraina applaudendo in piedi per 1 minuto.
Cari amici,
la giornata della donna é per le iraniane la giornata dell’onore e dell’orgoglio, perché nell’anno che è passato esattamente, come gli ultimi quattro decenni, hanno avversato lo spettro della misoginia, delle imposizioni, della repressione e dei saccheggiamenti delle ricchezze del paese.
Durante lo scorso anno sono state in prima ovunque, in tutti i movimenti di proteste, dalle rivolte del Khuzestan e di Isfahan e di Shar-e-Kord alle proteste degli insegnanti, degli infermieri e delle persone truffate dalle istituzioni.
Nel 21 novembre durante la rivolta dei Bakhtiari, erano le donne che davanti al palazzo dell’amministrazione provinciale esortavano il popolo a unirsi alla folla e continuare la rivolta.
Una ragazza coraggiosa gridava: “L’appuntamento é domani qui con le persone che hanno conservato l’onore e l’orgoglio per continuare le proteste”.
Una donna contadina agitando un secchio vuoto invitava la gente a scendere per strada e protestare.
Durante lo scorso anno gli insegnanti iraniani si sono mobilitati in oltre 200 città, inscenando sit-in e azioni di protesta, in cui le nostre sorelle appartenenti a quella categoria hanno svolto un ruolo fondamentale nell’organizzazione degli eventi.
Nella rivolta degli agricoltori di Isfahan le donne sono state in numerose occasioni parte attiva dello scenario della protesta e sono state spesso in prima linea.
Una madre, affrontando da sola le squadre dei motociclisti del Basiji, gridava: “Non vi temiamo”.
Nello stresso tempo le donne e le ragazze, costituendo Nuclei di rivolta in tutte le città, hanno continuato nelle loro azioni di propaganda e protesta per spezzare l’atmosfera di terrore e repressione.
É questa la vera immagine delle donna iraniana. Il suo grido non è il lamento della disperazione, è il segno di una rivolta per capovolgere l’opprimente situazione attuale come un moto ondoso che porterà al giorno della liberazione, che si può e si deve ottenere.
E’ una voce che arriva dalle camere di tortura, dai campi di lotta, dai corridoi e dai luoghi adibiti alle impiccagioni durante ill genocidio dell’88. E’ una voce rafforzata ulteriormente dai 150 anni di lotta della donna iraniana contro la dittatura, il reazionarismo e la misoginia.
Sì, la storia dell’Iran è caratterizzata dalle imprese eroiche delle donne.
Durante il Movimento del tabacco, furono le donne a organizzare la marcia sul Palazzo di Naserenddin Shah, causando la chiusura del Bazar e determinando la vittoria del movimento.
In occasione della rivoluzione “Mashruteh” (1913-1917), scoppiata contro lo strapotere della monarchia, e che portò al condizionamento del Regno al rispetto dello stato di diritto, furono le donne della città di Tabriz (capoluogo delle regione dell’Azerbaigian iraniano) che, armandosi e seguendo “Zeinab Pashà“( emblematica figura femminile artefice delle rivolte in quelle aree del paese) ad aiutare “Sattar Khan” (leader carismatico del movimento di liberazione dell’Azerbaigian, ucciso anni dopo per mano del padre di Reza Pahlavi).
Sempre nei momenti più delicati e decisivi di quel periodo fu un’altra donna, “Bibi Maryam”, in un’altra regione, a guidare i valorosi combattenti di Chahar-Mahal e Bakhtiari per marciare su Teheran e conquistare la capitale, ed è proprio Lei che viene cantata nelle canzoni e ricordata dai Bakhtiari.
Dopo, quando il grande “Mossadeq”, alla guida del movimento per la nazionalizzazione del petrolio iraniano, si è trovato con le casse dello stato, furono le coraggiose donne e ragazze iraniane ad arrivarono da ogni dove del paese a Teheran per acquistare i buoni del tesoro, risanando così le mancanze. Queste donne inscenarono una maestosa manifestazione davanti al palazzo della filiale della Banca Melli (Nazionale) della capitale.
Negli anni ’60 le donne in seno alle organizzazioni rivoluzionarie diedero vita a una nuova stagione di lotta e sacrificio, che portò alla lodevole attiva presenza femminile nella vittoriosa rivoluzione anti monarchica.
Le eroine di quelle battaglie, Fatemeh Amini, Ashraf Rajavi, Marzieh Oskuii, e Mehrnush Ebrahimi, sono stelle che brilleranno per sempre nel firmamento delle rivoluzioni del mio paese, e non saranno mai dimenticate.
Quando Khomeini, rubando la rivoluzione, si insediò al potere, le donne iraniane lo contrastarono fin da subito con le loro proteste. In seguito decine di migliaia delle donne Mojahed e appartenenti ad altre formazioni furono torturate e uccise nel corso della lotta al regime.
In riferimento alle impiccagioni avvenute negli anni ’80 e del genocidio dell’88, l’agghiacciante ferocia di Khomeini e degli esecutori si abbatté con preponderanza sulle detenute Mojahed. In alcune sezioni delle carceri venne impiccato l’intero gruppo di detenute. La vera sorpresa di quell’episodio però fu ed è tuttora la resistenza di quelle donne!
Durante il processo di uno degli esecutori del genocidio dell’88, in corso in questi giorni a Stoccolma, uno dei testimoni ha asserito: “Nei primi mesi del 1988 trasferirono un gruppo di ragazze Mojahed dal Carcere di Evin al Carcere di Gohardasht, le vedevamo dalla finestra, durate l’ora d’aria si cimentavano in allenamenti collettivi. Erano esercizi marziali tipici dei Mojahedin. Le donne dei Pasdaran tentavano di farle smettere aggredendole, ma non riuscendovi erano costrette a chiamare gli uomini, che picchiavano le ragazze brutalmente”.
Un altro testimone racconta: “C’era una donna Mojahed, si chiama Azar Soleimani. La vidi nell’ambulatorio medico del carcere di Gohardasht. Al momento dell’arresto aveva ingerito i documenti che di cui era in possesso, ed era stata per questo era torturata: in seguito alle torture riportò danni al rachide lombare che le causarono la perdita dell’uso delle gambe; fu in quelle condizioni che venne impiccata”.
Meritano le nostre lodi.
L’imponente moto liberatorio che anima la società iraniana in questi giorni, dando vita a movimenti di piazza, pone le sue radici in quei sacrifici e nel sangue versato.
Perché è importante avere memoria della storia delle donne?
Perché lo Scià e gli Ayatollah e i loro sicari, consapevoli del loro coraggio e della loro influenza sociale, continuano a stigmatizzarne il ruolo. Quindi bisogna gridare sempre più forte i loro nomi:
Il nome della comandante Mahin Rezaii, caduta in battaglia nell’operazione “Forughe Giavidan” (Luce Eterna) contro i pasdaran.
Il nome di Tahereh Toluè, l’eroina di quella battaglia; i pasdaran per placare il loro odio e la loro impotenza appesero il corpo senza vita di Tahereh ad un albero, poi diventato luogo di pellegrinaggio degli amanti della libertà.
Il nome di Maàssumeh Barazandeh, il cui corpo, durante il genocidio dell’88, venne stato appeso dai pasdaran nella piazza principale della città con un cartello attaccato ai vestiti, sul quale si leggeva: “E’ quella che guidava i giovani ai Mojahedin”.
E i nomi di Zohreh Ghaèmi e Ghiti Ghivecian, le comandanti di Ashraf, che hanno affrontato a mani nude gli elementi della forza terroristica di “Ghods” guidata da Ghassem Soleimani, donando la propria vita alla libertà dell’Iran ed ad Ashraf.
Ci sono due principali realtà dell’attuale situazione iraniana che meritano attenzione:
– Ia prima è l’assoluta mancanza di somiglianza e familiarità tra il popolo iraniano, portatore di una civiltà millenaria e ricca di una cultura intrisa di istanze e principi invocanti la libertà, e pronto sempre a qualsiasi contributo e sacrificio, e il regime medioevale regnante in Iran.
– Ia seconda è il fatto che gli iraniani non hanno mai accettato questo regime come la propria forma di governo.
Queste due realtà trovano il loro massimo significato tra le donne, che oltre a essere pienamente contro il regime del Velayet-e-Faghih, non hanno visto di buon grado la cultura e le leggi disumane della Sharia del regime, regime nella cui capitolazione vedono la fine delle loro sofferenze e la risposta alle loro legittime istanze.
Le atrocità commesse ai danni delle donne iraniane, atrocità che sono tristemente in aumento, non hanno nulla a che vedere con la cultura degli iraniani, ma sono invece il risultato dell’inimicizia di questo regime con le donne.
Nella prima metà del mese scorso la notizia della decapitazione di una giovane donna, il cui nome era Mona Heydari, per mano di suo marito nella città di Ahvaz ha scioccato la società iraniana. Tale atto è un esempio della deviazione originata dalla dottrina misogina del regime e da esso stesso incoraggiata!
Negli ultimi mesi Romina Ashrafi, tredicenne originaria di città di Talesh, e Shakiba Bakhtiari, sedicenne originaria di Kermanshah, sono state solo alcune tra le vittime dei crimini di questo genere commessi dai loro stessi parenti.
Come ha detto “Massud” (il leader della resistenza): “Queste tragedie sociali hanno una fonte e radice politica, nell’analisi finale la loro paternità va attribuita al regime disumano e misogino, considerato la fonte dell’emersione delle peggiori perversioni e dei peggiori complessi di questo periodo della nostra storia”.
Gli articoli 220 e 630 del Codice penale del regime autorizzano questi omicidi ai danni delle donne. Inoltre i Mullà hanno legalizzato i deplorevoli fenomeni delle “spose bambine” e del “matrimonio obbligatorio”. Questi metodi reazionari e incivili, sommandosi alla povertà insopportabile delle famiglie, incrementano le violenze contro le donne. Ogni anno tra 400 e 500 donne vengono assassinate in Iran. Il numero delle donne giustiziate per mano degli Ayatollah in Iran supera di gran lunga quello di altri paesi; il regime, calpestando le libertà e di diritti della donna iraniana, rende la sua esistenza priva di ogni valore.
Proprio per questo motivo le donne iraniane sono più motivate e decise a rovesciare il regime, e alla fine saranno le donne a fare capitolare il Velayat-e-Faghih.
Care sorelle,
La donna iraniana oggi non vuole parlare delle sofferenze patite e delle difficoltà subite in due anni di pandemia con più di 500.000 vittime, della la povertà e della fame dilaganti, vuole raccontare la sua fede e speranza nella costruzione di un futuro fatto di libertà e uguaglianza. Questo non è un sogno irrealizzabile, SI PUO’ E SI DEVE!
L’Iran, dopo il rovesciamento dei Mullà, sarà immune dalle amare esperienze della storia e del passato soltanto quando verrà instaurata una democrazia basata su libertà e uguaglianza, e tutto ciò verrà costruito dalle vostre mani.
Le libertà personali concernenti la sfera della vita delle donne, come la libertà di fede e religione, la libertà nella scelta della professione e negli spostamenti e nei viaggi, e la libertà di vestiario, sono una necessità sociale improrogabile. La libertà è un bene da prendere, e siete voi che con le vostre mani e la vostra forza di ribellione e lotta la acquisirete.
Qualsiasi forma d’imposizione e obbligo ai danni delle donne, in ambito domestico e nella sfera di vita familiare, la poligamia, la violenza fisica, psicologica e sessuale e tutte le forme di sfruttamento delle donne, e tutto ciò che il regimi reazionari hanno finora hanno decretato applicabile alle donne, dovranno essere per sempre sradicati.
No, questo non può essere il destino delle donne iraniane, le nostre sorelle non meritano questo, l’era del “subire e tacere” deve terminare. Questo torbido e oscuro destino cambierà soltanto grazie e con le vostre potenti mani!
Sì, gli impostori reazionari che vi hanno private dei vostri diritti non vi restituiranno di loro iniziativa la libertà e l’uguaglianza, ribellatevi e rovesciateli!
Siete voi la forza del cambiamento, siete voi il cambiamento, voi siete la vera forza del progresso e dello sviluppo dell’Iran di domani.
Cari amici,
la vasta partecipazione delle donne alla lotta per cambiare il regime non è un fenomeno automatico e accidentale, ma è ispirata al sacrificio e all’abnegazione delle donne Mojahed e delle altre combattenti, pioniere della lotta per la libertà. Ispirata da coloro le quali da più di 4 decenni combattono questo regime. É la perseveranza di queste pioniere che, nelle donne iraniane, ha seminato e rafforzato il pensiero del cambiamento, e le ha convinte che la fine della privazione dei loro diritti e della loro catastrofica condizione di vita avverrà soltanto con il rovesciamento del regime.
Le donne Mojahed hanno attraversato i luoghi di tortura e i patiboli, hanno rinunciato all’affetto dei propri figli e dei loro cari, e hanno resistito alle campagne di diffamazione.
Per anni hanno resistito sotto gli attacchi dei carri armati, delle unità corazzate e alle piogge di missili, affrontando i carri armati a mani nude, respingendoli.
Loro hanno dimostrato la propria capacità e affidabilità sul campo di battaglia
Una battaglia rappresentata dal “Consiglio Centrale dei Mojahedin”, interamente composto da donne.
Questo “Consiglio” è un organo progressista, e funge da alfiere per l’abolizione di tutte le forme reazionarie di sfruttamento e per l’instaurazione di dinamiche basate sulla parità di genere nel vero senso della parola, i cui gli effetti liberatori hanno pervaso oltre che le donne anche gli uomini.
Una generazione di uomini.
Si, queste donne e questi uomini sono i paladini della parità di genere e di relazioni fraterne, ciò di cui hanno bisogno la società iraniana e quella umana.
Da questo punto di vista il Consiglio Centrale dei Mojahedin, nel corso del suo cammino di formazione, si è arricchito di preziose esperienze, il cui sunto si concentra nell’espressione “SI PUO’ E SI DEVE”, frutto della continuazione della lotta contro qualsiasi pensiero recante idee reazionarie e di sfruttamento.
Sì! lLe donne iraniane hanno di fronte a sé un modello concreto al quale ispirarsi.
Le donne e gli uomini di questo movimento, in quanto pionieri delle lotta degli iraniani contro la dittatura religiosa, hanno ripristinato il valore della resistenza. Loro hanno scelto di non piegarsi all’ingiustizia e sono pronti a pagare il prezzo necessario per eliminarla.
Loro hanno abbattuto i tabù e i divieti del passato, aprendo la strada per resistere.
Nelle più avverse condizioni hanno sempre conservato e diffuso un morale alto e la felicità.
Hanno sempre preferito le priorità del movimento a quelle personali.
Hanno salutato i loro cari e i loro affetti accettando la lontananza per tenere accesa la fiamma della resistenza.
Anziché pensare al proprio destino, hanno pensato alle responsabilità da affrontare per conquistare la libertà per la nazione e la patria.
Non hanno temuto il nemico né la sua indiscussa forza repressiva, nonostante la disparità evidente, credendo fortemente in questa verità, che un gruppo, seppur piccolo ma deciso, può aprire la breccia verso la libertà e alla fine cambiare le circostanze a favore della nazione.
Loro seguono una logica liberatoria secondo la quale non si valutano gli individui per le loro capacità o mancanze individuali, bensì per la loro perseveranza e costanza nella lotta per il cambiamento di se stessi e della propria società.
Così come una società non viene valutata per ciò che è ma per le sue potenzialità insite per rinnovarsi e per la sua forza rivoluzionaria.
Sì, parliamo di una ribellione contro ciò che c’è oggi per arrivare a ciò che ci deve essere.
Ecco perché la resistenza è un bisogno degli uomini per diventare sempre più umani. Essa rappresenta il bisogno di ogni individuo represso per essere liberato e il bisogno delle società per uscire dall’empasse e dalla regressione.
É questo il segreto delle vittoria dei popoli nelle circostanze più difficili.
Resistere la risorsa esistenziale di un popolo, ed è l’unico ponte che ci conduce a un mondo basato sui principi di fraternità, libertà e parità.
Come dice Massud:
non si può spegnere la luce della resistenza per la libertà, più si tenta di spegnerla e più se ne aumenta la luminosità.
Vi ringrazio tutti.