I fatti di Gaza hanno scosso l’opinione pubblica e secondo Souad Sbai le comunità islamiche occidentali rischiano una deriva su posizioni fondamentaliste
La guerra israeliana sulla striscia di Gaza e le drammatiche immagini trasmesse nei giorni scorsi dalle emittenti mediorientali, hanno spinto alcune frange più estremiste della comunità islamica che vive nel nostro paese a venire fuori e a mostrarsi pubblicamente. La necessità di questi gruppi di sfruttare i sentimenti religiosi dei musulmani per ottenere risultati di tipo politico ha riproposto al centro del dibattito e dell’attenzione dei media la necessità di regolamentare la presenza islamica in Italia, proprio per evitare che la maggioranza moderata dei musulmani finisca nelle mani di questi estremisti. Nei cortei pro-Gaza di Milano, Bologna e Roma è stato possibile osservare gruppi composti al massimo da cento persone che hanno bruciato le bandiere israeliane, gridato slogan violenti e pregato in strada proprio davanti ai luoghi simbolo delle loro città, come il Duomo di Milano o il Colosseo a Roma, per rappresentare la presenza dell’Islam militante nei centri del potere occidentale.
Per chi vive all’interno della comunità dei musulmani italiani, episodi di questo tipo non sono affatto strani. Era da mesi che denunciavamo uno strano silenzio da parte di queste frange estreme dell’Islam italiano che alla prima occasione, la guerra a Gaza, hanno approfittato per ritornare allo scoperto sentendosi forti dello sdegno provocato nel mondo arabo dai raid aerei sulla città palestinese e dall’appoggio di buona parte della sinistra radicale che li considera un interlocutore politico.
Quanto accaduto in Italia mai sarebbe potuto accadere nel mondo arabo, dove le manifestazioni devono essere autorizzate e dove mai si prega in strada perché considerato poco opportuno proprio dagli Imam, oltre che dalle autorità locali.
Sono d’accordo con padre Samir Khalil quando sostiene che «il contesto di quel sabato pomeriggio mostra che lo scopo era fare un atto politico. La preghiera è venuta al termine di una manifestazione dedicata alla situazione di Gaza, dove si sono anche bruciate bandiere israeliane. Se si fosse voluto fare un gesto religioso, sarebbe stato molto più semplice, e più bello, invitare tutti quelli che volevano pregare per la pace a venire in un luogo scelto, come una chiesa, una moschea, o un luogo più neutrale. Sarebbe stato un momento in cui ognuno – cristiani, ebrei, musulmani – avrebbe potuto pregare a modo suo». Il gesuita di origine egiziana ha sottolineato infatti in un intervista proprio su questo quotidiano come «il fatto che simultaneamente, a Bologna davanti a San Petronio e a Milano in piazza Duomo sia avvenuta la stessa cosa, fa capire che c’è stata una programmazione. Questo vuol dire che c’è stato un progetto politico e che allora questo gesto di preghiera va letto politicamente. I musulmani devono capire che mescolare il politico e il religioso, non è una cosa buona e accettabile in Europa».
Quello che padre Samir non dice è che a pregare in strada in queste città erano le stesse persone che ogni sabato, da quando è iniziata la guerra a Gaza, si organizzavano con degli autobus per partecipare ai vari cortei pro palestinesi che si sono tenuti in Italia, in modo da far credere all’opinione pubblica che tutti i musulmani italiani condividono il loro progetto politico fondamentalista.
Quello che è preoccupante è il silenzio dei musulmani moderati che ormai non credono più alla battaglia contro il fondamentalismo perché non si sentono appoggiati in modo adeguato dalle istituzioni. Questa guerra, voluta da Hamas per rafforzarsi, come è avvenuto due anni prima per Hezbollah in Libano, ha fatto ritornare la situazione dei musulmani in Italia indietro di dieci anni.
Questi personaggi, con i loro cortei, vorrebbero far credere ai loro referenti nel mondo arabo di riuscire ad influenzare la politica del governo italiano. Gli episodi registrati durante le manifestazioni di Milano e Roma non vanno sottovalutate. È chiaro che oggi si apre un nuovo scenario nel panorama politico italiano perché esistono gruppi e comunità influenzate dalla propaganda delle Tv arabe che spingono anche le famiglie che mai hanno fatto politica a scendere in strada al fianco di questi estremisti col ricatto morale che a Gaza vengono uccisi i bambini.
E’ importante oggi più che mai, alla luce di tutto questo, riprendere il dialogo interreligioso e interculturale partendo da quelle che sono le realtà religiose del nostro paese con l’obiettivo di evitare che in Italia si possa vivere il dramma già vissuto a Londra dove sono comparsi dal nulla kamikaze con passaporto britannico. E’ necessario quindi discutere di quali possono essere le politiche da attuare per una reale integrazione degli immigrati in Italia che può passare anche per i centri culturali e le moschee, purché queste ultime siano regolate e gestite da personale competente e riconosciuto dallo stato.
di Souad Sbai