Ospitiamo il commento di Souad Sbai, Presidente dell’Associazione delle Donne Marocchine in Italia, sull’omicidio di Sanaa Dafani, avvenuto per mano di suo padre
Un nuovo lutto ieri ha colpito la parte sana della comunità marocchina in Italia, un lutto triste che ha ancora il sapore del sangue di una donna trucidata dalla mano di un padre indottrinato e accecato da un certo estremismo. Una donna che ha pagato col tributo più alto la sua voglia di vivere un amore libero al riparo dalla violenza, dall’odio, da una xenofobia religiosa piegata all’ideologia del martirio, della difesa di un onore assurdo a qualsiasi costo. Compreso quello dell’omicidio della propria figlia, carne della propria carne.
Molti hanno subito fatto il parallelo con la vicenda di Hina Salem, la ragazza di origine pakistana sgozzata a sangue freddo dal padre a Brescia. Ma l’episodio di ieri non è che l’ennesimo di una lunga scia di sangue innocente, versato spesso in silenzio da vittime che lottano per la propria libertà, per riuscire ad affermare senza paura “Voglio vivere la mia vita!” e restano isolate e abbandonate.
Noi siamo qui oggi a condannare nettamente quest’avanzata estremista e oscurantista che vuole annichilire la dignità delle donne, la loro autodeterminazione e più in generale la sacralità della vita. Siamo oggi qui per condannare e consegnare ai magistrati un ennesimo delitto che non può restare impunito e la cui pena, anzi, deve essere esemplare. Siamo qui per mettere al bando i predicatori d’odio che strisciano come serpi silenziose e indisturbati tra i numerosissimi cosiddetti centri culturali islamici, le sedicenti moschee, spesso abusive, di cui è ormai costellata l’Italia. Siamo qui per sorvegliare e punire. E siamo qui per fare in modo che i musulmani moderati che vogliono davvero integrarsi in Italia, lavorando onestamente, seguendo la propria religione senza fanatismi, seguendo i precetti della nostra Costituzione e delle nostre leggi, possano impegnarsi a costruire un’Italia che ripudia ogni forma di violenza e di estremismo. Siamo qui per fare in modo che episodi del genere non solo non possano più ripetersi, ma aprano la strada ad un percorso politico vero e scevro da ogni relativismo e strumentalizzazione che sia in grado di costruire in Italia un modello efficace di multiculturalismo. Nessuna religione richiama all’odio, tantomeno l’Islam: è piuttosto la sua interpretazione errata e medievale che conduce a queste tragedie.
Queste donne spesso segregate, umiliate, tenuta nell’ignoranza più totale hanno paura perche non conoscono i propri diritti, perche non sanno che le nostre leggi le tutelano, perché non sono capaci di parlare e scrivere in italiano. Donne senza punti di riferimento se non quelli imposti dagli estremisti delle proprie comunità di appartenenza. Bisogna insegnar loro che l’Italia le difende con adeguati strumenti giuridici e giudiziari, che ripudia l’odio e la violenza di ogni genere, che sa punire e sa, al tempo stesso, accogliere e prendersi carico dei più deboli.
Come portavoce di Acmid-Donna Onlus, Associazione delle Donne Marocchine in Italia, posso affermare senza indugi che l’associazione si costituirà parte civile nel processo contro questo padre-mostro e che continuerà a farlo con coraggio in tutti i procedimenti giudiziari di questo tipo. Come parlamentare del Pdl, mi batterò per fare in modo che, una volta emessa la sentenza di condanna definitiva per il padre di Saana, ci sia un impegno concreto affinché l’uomo possa scontare la sua pena nelle carceri marocchine, attraverso la stipula di un accordo bilaterale tra i nostri Paesi. Sarebbe un segno importante per porre l’accento sul significato giuridico e umano della sentenza.
Con Sanaa ieri, siamo state uccise tutte noi, donne coraggiose, che abbiamo scelto la via del pensiero di contro a quella della cieca obbedienza. E in memoria di Sanaa e di tutte le altre faremo in modo che chi deve pagare paghi e che il germe dell’odio venga estirpato da un Paese civile come l’Italia. Con Sanaa ieri è morto un certo pensiero liberale. Questa è l’ultima volta. Perché non bisogna attendere un altro morto per agire, ma bisogna contrastare le angherie quotidiane, troppo spesso sopportate in silenzio.
di Souad Sbai