I tweet, i cartelli, le belle parole e i sorrisi non hanno mai salvato nessuno. Ci eravamo lasciati con le studentesse rapite da Boko Haram, che si è saputo essere tutte incinte dei terroristi, e oggi ci ritroviamo con altre sessanta donne rapite, il cui destino appare piuttosto semplice da indovinare. E non basta, perché pare che fra i rapiti ci siano anche una trentina di maschi, manovalanza fresca da utilizzare come carne da macello. O forse peggio.
Ho ancora negli occhi il grottesco “embargo” che l’Onu, capace ormai solo di controfirmare le volontà di potenza di alcune nazioni, aveva imposto a Boko Haram, come se questo fosse uno Stato e non una sigla terroristica. Come se potesse disporre delle sue armi e dei suoi fondi. Con una comunità internazionale come questa, è chiaro, chiunque può fare qualsiasi cosa: rapire, stuprare, fare proselitismo, uccidere, appropriarsi di nazioni intere.
L’Occidente è un morto che cammina a passo spedito verso la fossa, ma se omettessimo di puntare l’obiettivo anche verso il mondo musulmano, verso quel mondo che dovrebbe far sentire la sua voce davanti a chi uccide e violenta in nome dell’Islam, vedremmo solo parte del problema. Ho cercato per ore sui siti di tutto il mondo, ho rovistato negli angoli più remoti della rete alla ricerca di una parola, di una dichiarazione, di un moto d’orgoglio e di indignazione da parte delle istituzioni del mondo islamico. E ho trovato solo un appello di Al Azhar per liberare gli ostaggi. Che però è ben poco di fronte al dramma. Un silenzio assordante, avvilente, vergognoso. Boko Haram si definisce agli occhi del mondo, islamico e non, come la versione più pura e originaria dell’Islam, come l’esempio da seguire: e le istituzioni islamiche più autorevoli che fine hanno fatto? Perché lasciano che il mondo pensi all’Islam identificandolo in Boko Haram o in altri movimenti estremisti e terroristi?
Qualcuno, a quelle latitudini, ha ancora il coraggio di definirsi “musulmano” pur essendo automaticamente accostato a quelle belve assetate di sangue? Dalla Lega Araba, dai Paesi islamici moderati, dalle cancellerie mediorientali nessun segnale in questo senso. Nessuna presa di distanza, nessuna reazione. Che ruolo hanno assunto se non riescono a intervenire in faccende come questa? Diventa difficile, in queste condizioni, biasimare chi, non senza una buona dose di approssimazione, identifica l’Islam in Boko Haram o nei Talebani afghani. O al regime di Bashir che manda a morte, per poi liberarla, una donna come Meriam solo perché cristiana. “Se non li condannano sono d’accordo”, è la frase che maggiormente ricorre. Il silenzio fa sì che si trovi corretto assimilare alla religione musulmana il rapimento a scopo di gravidanza, lo stupro al fine di procreare altri terroristi, i massacri in nome dell’islamizzazione forzata.
Forse si aspetta che Boko Haram esca dai suoi confini a rapire donne di altri Paesi, magari vicini, per avere una reazione delle istituzioni musulmane? È difficile capire che è l’Islam, il suo concetto globale, ad essere sotto attacco? Oppure si tace perché il modello che dovrà subentrare è quello del “fucile e machete” di Boko Haram? Perché quando dall’Africa subsahariana la violenza e il sangue prenderanno a travalicare i confini nazionali, in un continente stremato dalla povertà, i primi a farne le spese saranno proprio i Paesi geograficamente più prossimi all’espandersi del virus terroristico. E nessuno sarà risparmiato, nemmeno chi fino ad oggi ha taciuto sperando di non essere notato, e che ha chiuso tutti e due gli occhi di fronte alla violenza subìta dall’Islam per mano dell’estremismo.
Di Souad Sbai per L’Opinione delle Libertà