Il Qatar ha in pugno anche le Nazioni Unite. La scalata al Palazzo di Vetro da parte degli emiri del terrore si è compiuta con la firma a margine del “Doha Forum”, svoltosi il 15 e il 16 dicembre. Gli accordi di partenariato “strutturale” prevedono l’apertura in Qatar di importanti sedi di agenzie Onu quali Ocha (Coordinamento affari umanitari), Unhcr (rifugiati), Unicef (infanzia) e Iom (migrazioni). A vendere al diavolo l’anima della principale organizzazione internazionale è stato il suo stesso segretario generale, António Guterres, per la modica cifra di 500 milioni di dollari: a tanto ammonta infatti la donazione in cambio della quale Guterres, esprimendo tutta la sua “gratitudine” agli emiri del Terrore, ha di fatto rinnegato i principi fondativi della Carta dell’Onu (articoli 1 e 2).
Se la Carta assegna alle Nazioni Unite il compito di promuovere il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, Guterres non dovrebbe in alcun modo stabilire relazioni privilegiate con un Paese dove i lavoratori stranieri vengono trattati come schiavi (si vedano le condizioni inumane, i morti e i feriti nei cantieri dove si costruiscono gli stadi per i prossimi Mondiali di calcio previsti nel 2022), il dissenso verso le politiche del regime non è consentito, pena il carcere o l’espulsione (si vedano i casi Al Ghofran e Rashid al-Ajami), e l’ideologia di stato è l’estremismo dei Fratelli Musulmani.
Se la Carta, inoltre, assegna alle Nazioni Unite il compito di mantenere la pace e la sicurezza internazionale, promuovendo la risoluzione pacifica delle controversie, è a dir poco inquietante il fatto che Guterres, nel corso del suo intervento al Doha Forum, abbia voluto “sottolineare l’importante contributo del Qatar contro il terrorismo e […] nella mediazione in conflitti regionali”.
Gli emiri del terrore hanno sicuramente voce in capitolo nelle varie crisi che attanagliano il Medio Oriente e altre aree del pianeta, ma la loro presunta capacità di mediazione si fonda sul seguente e perverso schema: in primo luogo, il Qatar crea instabilità o contribuisce a crearla, supportando a tal fine gruppi terroristici, milizie armate e, a livello politico, figure e partiti espressione della Fratellanza Musulmana; poi si accredita e interviene come mediatore per favorire trattative di “pace” a cui prendono parte gli stessi fattori d’instabilità generati in precedenza e che si concludono positivamente solo quando vengono soddisfatti i propri interessi. Ecco perché la Libia, ad esempio, non ha ancora raggiunto l’agognata riconciliazione nazionale malgrado gli sforzi diplomatici promossi dalle Nazioni Unite: in Libia, vi sono infatti forze che non intendono sottomettersi agli islamisti della Fratellanza che continuano a tenere in ostaggio Tripoli e con la capitale il futuro del Paese. Tuttavia, invece di contribuire all’isolamento di un simile “Stato canaglia” e di sanzionarlo, le Nazioni Unite ne legittimano il modo di operare, accettando che ogni soluzione in grado di ristabilire pace e sicurezza in Siria, Iraq, Palestina, Afghanistan e Somalia debba essere conforme ai desiderata degli emiri del terrore.
Come se non bastasse, d’ora in poi dipenderà paradossalmente da Doha anche la gestione delle dirette conseguenze in campo umanitario delle guerre generate dalla sfrenata volontà di potenza di Tamim bin Hamad al-Thani e degli altri membri del clan dell’emiro.
Altrettanto paradossale è la stipula di un accordo di cooperazione tra il Qatar e l’Unoct, l’ufficio dell’Onu che si occupa della lotta al terrorismo. In questo caso, il perverso schema applicato da Doha riguarda molto da vicino l’Europa dove, attraverso luoghi di culto, centri culturali e di aggregazione, imam e attivisti, continua a finanziare la propagazione dell’ideologia estremista dei Fratelli Musulmani, su cui si basa il processo di radicalizzazione dei nuovi “martiri” del jihad che continuano a uccidere nei mercatini di Natale e ad ogni circostanza favorevole.
Contemporaneamente incendiario e pompiere (alle condizioni che meglio gli si confanno), il Qatar è stato investito ufficialmente di tale ruolo dal segretario generale delle Nazioni Unite in persona, dal quale è invece lecito attendersi la più stretta aderenza ai principi della Carta, nonché terzietà nelle posizioni. Ma nel tradire l’atto costitutivo dell’organizzazione di cui è il massimo esponente, Guterres ha oltretutto operato una grave scelta politica: quella di schierare l’Onu con il nuovo polo dell’islamismo mondiale, che si avvale del Qatar come perno finanziario, del peso specifico del regime di Erdogan in Turchia e del regime khomeinista in Iran, e della rete transnazionale d’influenza che fa capo ai Fratelli Musulmani.
A supporto della non-santa alleanza tra il Qatar e l’Onu sono accorse a Doha numerose figure di spicco, a dimostrazione della scelta di campo effettuata da una parte consistente della comunità internazionale. L’altra parte, quella buona, non si lascerà intimidire e continuerà a contrapporsi in ogni sede all’avanzata dell’agenda islamista del Qatar e dei Fratelli Musulmani.
di Souad Sbai per L’Opinione delle Libertà