Italia come l’Egitto: guerra alla “linea rossa del Jihad”

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“Le moschee sono le nostre caserme, i minareti le nostre baionette, e i fedeli i nostri soldati”. Così recitava qualche anno fa Recep Tayyp Erdogan nelle vesti di Primo Ministro, prima di riuscire nell’assalto alla presidenza della Turchia. Si tratta di una formula ideata nel 1912 dal poeta islamo-nazionalista turco, Ziya Gökalp, poi divenuta la linea di azione per la conquista del potere seguita non solo da Erdogan, ma anche da quelle forze dell’islamismo militante e terroristico che hanno seminato morte e distruzione in Medio Oriente e Nord Africa sotto le mentite spoglie della Primavera Araba.

I Fratelli Musulmani hanno infatti utilizzato moschee e minareti per indottrinare e lanciare i propri seguaci all’assalto dei regimi di Ben Ali in Tunisia, Mubarak in Egitto e Gheddafi in Libia, col pretesto che fosse autoritari, corrotti e non islamicamente corretti, manipolando le rivolte in corso e prendendone la guida fino al rovesciamento dell’ordine costituito. Il tutto con il supporto finanziario, politico e mediatico del Qatar (si veda il ruolo di Al Jazeera) e della Turchia neo-ottomana di Erdogan.

Il mio ultimo libro “I Fratelli Musulmani e la conquista dell’Occidente”, illustra nei particolari quanto accaduto nel mondo arabo in quella Primavera, poi sfiorita in un inverno islamista, mettendo in guardia sul fatto che la “linea rossa del jihad” che unisce Doha, Istanbul e i Fratelli Musulmani in un “progetto” comune attraversa già da tempo l’Europa, Italia compresa.

La frenesia di certe municipalità come quella di Milano per la costruzione di nuove moschee non tiene nel benché minimo conto dell’esperienza di quei paesi che continuano a soffrire a causa delle ambizioni di governo dei Fratelli Musulmani e del terrorismo da questi utilizzato come strumento per condizionare gli eventi e dirigerli verso il conseguimento delle medesime e immarcescibili finalità sovversive.

Al riguardo, d’esempio dovrebbe essere l’Egitto, nei cui confronti è necessario uno sguardo diverso, senza filtri che distorcano la prospettiva degli accadimenti nel paese, ferma restando la più totale condanna per quanto accaduto a Giulio Regeni e per la mancanza di un’autentica collaborazione nelle indagini da parte egiziana.

La guerra totale mossa dal Cairo alla “linea rossa del jihad” dovrebbe essere di grande lezione per l’Italia e per l’Europa. Dopo l’ultimo attentato suicida ad opera di un affiliato alla Fratellanza, questa volta nei pressi della moschea di Al Azhar – un segnale di disapprovazione verso il documento sulla Fraternità Umana firmato ad Abu Dhabi dall’Imam di Al Azhar, Ahmed Al Tayeb, insieme a Papa Francesco? – il Parlamento sta vagliando l’opportunità di adottare ulteriori misure di sicurezza, che andranno ad aggiungersi a quelle già in vigore.

Il contrasto al terrorismo dei Fratelli Musulmani ha finora portato alla messa al bando dell’organizzazione estremista, all’arresto dei suoi principali esponenti, al sequestro di materiale propagandistico islamista, all’introduzione di telecamere nei locali pubblici e a un maggiore controllo sulle locazioni immobiliari (come nell’Italia degli anni ‘70 martoriata dalle Brigate Rosse e altri gruppi terroristici).

Nel mirino delle autorità egiziane c’è inoltre l’uso delle moschee, e in generale dei luoghi di carattere religioso, come veicolo di estremismo e propaganda politica. Su questo fronte, dopo alcuni anni di lavoro a cominciare dalla fine della presidenza del Fratello Musulmano Mohamed Morsi nel 2013, il Cairo ha conseguito successi rilevanti. Il portavoce del Ministero degli Affari Islamici, Gaber Tayea, in un recente intervento televisivo, ha infatti dichiarato di aver stabilito il “controllo totale dei sermoni nelle moschee a livello nazionale”, per impedire che imam legati ai Fratelli Musulmani le impiegassero nuovamente come “caserme” dove aggregare fedeli-soldati pronti a combattere per l’avanzata dell’agenda islamista. Il discorso religioso è ora “incentrato sulla virtù e non sulla politica”, spiega Tayea, mentre in passato “i pulpiti erano sfruttati da alcuni partiti, cosa che ha portato alla divisione del paese” e alla sua destabilizzazione.

Una destabilizzazione nella quale continuano a essere coinvolti il Qatar, come espressamente denunciato dalla Commissione per la Difesa e la Sicurezza Nazionale, e la Turchia, che alla corte di Erdogan ospita numerosi Fratelli Musulmani egiziani, i quali da Ankara e Istanbul manovrano militanti e cellule terroristiche nel loro paese d’origine.

Il caso egiziano deve pertanto essere di monito per l’Italia e per l’Europa. Sono migliaia le moschee (legali ma soprattutto illegali), gli pseudo-centri culturali e di preghiera, i luoghi di aggregazione sociale permeati da imam e militanti affiliati ai Fratelli Musulmani e agli stati canaglia che li sponsorizzano: il Qatar degli emiri Al Thani e la Turchia di Erdogan.

La costruzione di nuove moschee per mostrare apertura nei confronti dei fedeli di religione islamica, ma senza regole appropriate che ne garantiscano l’assoluta impermeabilità alla penetrazione dei Fratelli Musulmani, sono un regalo al proselitismo islamista della Fratellanza che ha come sbocco ideologico e operativo il reclutamento nell’ISIS o Al Qaeda.

Il mondo arabo moderato, riunito all’interno del Quartetto anti-terrorismo che comprende, oltre all’Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrein, ha dimostrato che una reazione efficace per spezzare la “linea rossa del jihad” è possibile e non soltanto auspicabile. L’Italia metta da parte la tentazione di un malinteso multiculturalismo e lanci anch’essa la sua guerra totale a un’alleanza islamista che punta alla conquista dell’Occidente e non solo di Medio Oriente e Nord Africa.

Di Souad Sbai per L’Opinione delle Libertà

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