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I prigionieri del Qatar

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“Siamo prigionieri del Qatar”: così i lavoratori nepalesi intervistati da una troupe dell’emittente tedesca Wdr hanno lanciato il loro grido d’allarme alla comunità internazionale per le condizioni di schiavitù riservatigli dal regime di Doha, che con il sangue e la sofferenza della manodopera straniera, soprattutto di provenienza asiatica, sta costruendo gli stadi e le strutture deputate a ospitare i Mondiali di Calcio del 2022.

Questi si annunciano come una tragedia e non certo come una festa dello sport. Anzi una tragedia lo sono già, nella consapevolezza di tutti. Per la prima volta lo ha ammesso anche la Fifa, che messa alle strette dal video documentario realizzato da Wdr non ha più potuto glissare sull’argomento, riconoscendo in un comunicato stampa le violazioni dei diritti dei lavoratori commessi, in particolare, dalla compagnia Tawasol.

La telecamera nascosta dei giornalisti di Wdr raccoglie dai cantieri testimonianze agghiaccianti: le piccole stanze dove dormono ammassate anche 8 persone, le condizioni igieniche inumane, l’immondizia dappertutto. I nepalesi più coraggiosi, al riparo dallo sguardo dei padroni, parlano dell’incubo che stanno vivendo: del pane e acqua che costituisce il loro cibo quotidiano, delle vessazioni e delle violenze subite sul posto di lavoro, dei salari non pagati da 8 mesi e quindi dei soldi che non possono mandare alle rispettive famiglie, del passaporto confiscato, dell’impossibilità di ritornare a casa e riabbracciare i propri cari e persino di potergli telefonare.

Le autorità nepalesi contano i morti: dal 2009 al 2019 sono stati 1.426,tra questi 522 morti d’infarto. Quelli che restano sono prigionieri, prigionieri del Qatar. Quale paese, quale organizzazione alzerà mai un dito per liberarli?

La Fifa è la principale responsabile di questo scempio, per il quale tangenti a pioggia sono state versate, come appurato grazie a inchieste giornalistiche e giudiziarie. E sono responsabili anche le Nazioni Unite, che continuano a far finta di nulla, pur avendo stabilito paradossalmente una delle sedi dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro proprio a Doha, su invito degli emiri Al Thani, nell’ambito di un accordo multi-milionario di cooperazione servito a rimpinguare le casse del Palazzo di Vetro a New York.

È così che si spiega tutto, la sostanziale connivenza della Fifa e delle Nazioni Unite, ma anche degli stati membri, dai cui governi non è mai stata richiesta la revoca dell’assegnazione al Qatar della Coppa del Mondo 2022, con l’eccezione dei paesi del Quartetto arabo anti-terrorismo (Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Bahrein ed Egitto), che avevano proposto lo spostamento della competizione in Indonesia.

D’altro canto, neppure dal mondo dello sport e del calcio in particolare sono emerse reazioni significative. L’obiezione di coscienza di Riku Riski, il calciatore finlandese che si è rifiutato di scendere in campo a Doha con la propria nazionale, è stata una lodevole eccezione a cui nessuno dei suoi colleghi in Europa ha dato finora seguito.

L’inchiesta di Wdr rappresenta uno spartiacque che cambierà il corso degli eventi? Sarebbe certamente auspicabile, ma sperarvi è ingenuo. Il Qatar tiene avvinghiata a sé gran parte della comunità internazionale, secondo il suo modus operandi. Gli emiri di Doha sanno bene infatti che per poter continuare con le loro politiche di finanziamento dell’estremismo dei Fratelli Musulmani, di destabilizzazione del Medio Oriente insieme alla Turchia di Erdogan e all’Iran khomeinista, e di disprezzo verso i diritti umani, come nel caso dei lavoratori stranieri, deve poter contare sugli Infantino e i Guterres, sui vari capi di stato e leader politici che del “sistema-Qatar” sono beneficiari.

Tutto tace e acconsente, tutto concorre alla tragedia dei Mondiali delle violazioni dei diritti umani.

Di Souad Sbai per L’Opinione delle Libertà

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