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La colonizzazione turca della Libia, il pericolo ignorato

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turchia - chiesa

Gli sviluppi della crisi in Libia sono una cartina tornasole dell’orientamento e delle simpatie dei commentatori ed esperti di sicurezza a livello italiano, europeo e nord-americano. La tendenza della maggioranza su stampa e social media è quella di abbracciare, senza se e senza ma, la causa del governo di Tripoli (GNA) guidato da Al Sarraj, contro il demone incarnato dal generale Haftar, appoggiato dall’odiato presidente egiziano Al Sisi, dagli Emirati Arabi Uniti e dai  mercenari russi della Wagner , così come recita la narrazione dominante. Anche l’ormai dichiarato supporto francese al novello Gheddafi genera indignazione e disappunto, mentre crescono ansia e preoccupazione per le postazioni militari che Mosca si appresterebbe a stabilire nel Fezzan e per un possibile intervento del Cairo volto a impedire la “reconquista” di Sirte da parte dei “buoni” del GNA.

Del tutto ignorata, invece, è la sconcertante realtà che Al Sarraj si trova a rappresentare con il riconoscimento diplomatico della comunità internazionale, quale vertice politico-istituzionale di cricche islamiste a cui fanno riferimento milizie armate fino ai denti che indossano per l’occasione la divisa di esercito regolare. Che tali cricche, per restare al potere, abbiano letteralmente consegnato Tripoli e la Tripolitania nelle mani della Turchia di Erdogan, ardente sostenitore dei Fratelli Musulmani, è un dato che gli analisti mainstream preferiscono non mettere sul piatto della bilancia, dove, per un giudizio equilibrato, peserebbero troppo le migliaia di combattenti jihadisti sul libro paga di Ankara che continuano a giungere dalla Siria per “difendere la rivoluzione del 17 febbraio” dall’assalto dei “cattivi” guidati da Haftar.

A pesare troppo sarebbero anche i droni, i carri armati, gli aerei e le munizioni inviati alle milizie del GNA da Erdogan, con la benedizione del Qatar da dietro le quinte. Meglio allora gridare allo scandalo solo per gli aiuti militari ricevuti da Haftar: quelli sì che violano l’embargo delle Nazioni Unite. Allo stesso modo, rimossa da ogni valutazione completa ed intellettualmente onesta è la trasformazione della Libia occidentale in un protettorato militare turco: un avamposto strategico nel Mediterraneo da cui Erdogan può proiettare insicurezza e instabilità – la sua specialità – in tutto il Nord Africa, nell’Africa sub-sahariana e, naturalmente, verso l’Italia, a ogni suo segno di ribellione dal giogo islamista (si vedano le minacce dell’“invasione” di migranti e del terrorismo da esportare sui barconi che partono dalle coste libiche, ripetutatmente paventate da Al Sarraj e dal vice presidente del GNA, Ahmed Maitig, per impedire un avvicinamento tra Roma e il parlamento legittimo di Tobruk che sostiene Haftar in Libia).

L’accordo siglato tra Erdogan e Al Sarraj per la definizione dei confini marittimi è stato fatto passare sottotraccia, come fosse un episodio di poco conto e non una mossa volta ad imporre di fatto l’egemonia marittima turca nel Mediterraneo, senza aver previamente consultato gli “alleati” della NATO, Grecia e Italia in primis. A destare indignazione, piuttosto, sono stati i raid condotti dalle forze di Haftar (o, si dice, da aerei francesi decollati dal Mali), che hanno colpito l’aeroporto di Al Watiya, di cui la Turchia ha preso recentemente successo facendone una propria base militare.

Come si spiega la marcata inclinazione pro-GNA di una parte significativa degli analisti? La risposta va ricercata nel fascino che i Fratelli Musulmani continuano a esercitare su una certa sinistra ideologicamente anti-occidentale, sinistra a cui fanno riferimento numerosi esperti, ricercatori, giornalisti e professionisti che si occupano di affari mediorientali per conto di think tank, centri di studio e piattaforme online, anche illustri. La lista sarebbe lunga. Haftar non è certo un angelo, ma non lo è neppure Al Sarraj e l’ignorarne deliberatamente le gravi macchie sta dando manforte alle mire espansionistiche chiaramente della Turchia di Erdogan, che di Al Sarraj ha fatto suo luogotenente e fantoccio.

Una risposta significativa al filo-islamismo che va per la maggiore su Twitter è giunta allora proprio dalla Libia, precisamente da Bengasi, la città che per prima si è ribellata a Gheddafi e che è stata liberata dalla morsa dell’ISIS guarda caso dal generale Haftar. La scorsa domenica vi si è svolta un’importante manifestazione, dove la popolazione si è riunita nelle strade e nelle piazze per dire un chiaro e netto “no alla colonizzazione” ad opera della Turchia, denunciando il patto scellerato che Al Sarraj ha stretto con Erdogan. Bengasi, dopo aver animato la rivoluzione contro Gheddafi, non vuole assoggetarsi a una nuova dittatura targata Fratelli Musulmani, né diventare una provincia dell’Istanbul neo-ottomana del sultano Erdogan: come dargli torto?

Di Souad Sbai per La Nuova Bussola Quotidiana

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