Il gomito a gomito tra Luigi Di Maio e il premier incaricato tunisino, Hichem Mechichi, rappresenta un segno di resa e non d’intesa. Una resa duplice da parte dell’Italia, anzitutto al ricatto di un paese che ha preteso nuovi aiuti economici (11 milioni di euro) per arginare l’esodo di migranti, finora lasciati affluire in massa verso le coste della Sicilia malgrado gli accordi di sicurezza già stipulati (vero ministro Lamorgese?). In secondo luogo, si tratta di una resa al cospetto del fondamentalismo, che minaccia di prendere il largo dopo il “missile” contro i diritti delle donne lanciato recentemente dal presidente tunisino, Kais Saied.
L’attacco non giunge a sorpresa. Durante la campagna elettorale, Saied aveva messo ben in chiaro la sua posizione sulle relazioni di genere e ha freddamente scelto l’anniversario della promulgazione del Codice sullo statuto personale, emanato il 13 agosto 1956, per assestare un colpo netto alle conquiste effettuate dalle donne tunisine in decenni di battaglie per i diritti umani e civili.
Unico nel mondo arabo, il Codice stabilisce il principio dell’uguaglianza tra uomo e donna, liberando quest’ultima dal vincolo che la sottometteva alla volontà di padri, mariti e fratelli per lavorare o viaggiare. Il Codice abolisce la poligamia, proibisce i matrimoni in età precoce, dà alle donne la possibilità di richiedere il divorzio e molto altro ancora. Per la piena indipendenza e autodeterminazione, mancava un ultimo miglio da percorrere, necessario a superare le scorie del fondamentalismo ancora presenti nell’ordinamento.
A tale scopo, il predecessore di Kaies alla presidenza della Repubblica, il laico e moderato Beji Caid Essebsi, aveva istituito una commissione di esperti rivolta appositamente allo studio delle correzioni da apportare per porre fine alle residue forme di discriminazione nel sistema. Tra queste, la commissione aveva puntato il dito sulla disparità tra uomo e donna nel diritto di famiglia.
A stroncare ogni ambizione di riforma in materia a beneficio delle donne, è però intervenuto Kaies. Il presidente si è detto infatti favorevole a una lettura letterale del Corano per dirimere la questione dei diritti di successione, segnando così una netta discontinuità con Essebsi, secondo i desiderata del fronte fondamentalista e ultra-conservatore capeggiato dai Fratelli Musulmani, detentori della maggioranza relativa in parlamento con il partito Ennhada.
Dal punto di vista politico e istituzionale, il presidente della Tunisia ha finora dato prova di assoluta indipendenza, mal tollerando gli sconfinamenti del leader di Ennhada e presidente del parlamento, Rachid Ghannouchi, in ambiti come la politica estera e di sicurezza, prerogativa del capo dello stato. Anche la nomina di Mechichi a premier incaricato, è indice dell’intenzione di Saied d’impedire ai Fratelli Musulmani di esercitare la propria egemonia sul governo, dopo aver favorito la caduta del precedente esecutivo guidato dal dimissionario Elyes Fakhfakh.
La disuguaglianza di genere è tuttavia un terreno comune nel quale i portatori di una concezione fondamentalista e ultra-conservatrice della religione islamica si sarebbero prima o poi rincontrati, per dare battaglia contro le istanze riformiste e modernizzatrici che brulicano nel mondo politico e nella società. Lo scontro in Tunisia è aperto e le stesse donne sono pronte alla “resistenza” per non perdere le conquiste effettuate, proseguendo l’avanzata lungo la strada dei diritti e delle libertà.
In questo contesto, l’Italia cosa fa? Invece di schierarsi a difesa delle donne tunisine, esigendo anche con l’imposizione di sanzioni un maggiore impegno nell’attuazione degli accordi sul fronte migratorio, il governo non sa fare altro che sperperare i pochi soldi dei contribuenti rimasti in cassa per indurre le autorità locali a cooperare contro gli scafisti, ignorando completamente la presa di posizione di Kaies sui diritti di successione, che presuppone a una guerra culturale vera e propria nei confronti dei diritti delle donne.
D’altra parte, l’Italia ha già scelto con chi stare in Medio Oriente, legandosi a doppio filo al cappio del Qatar e della Turchia di Erdogan, i due grandi sponsor guarda caso di Ennhada e dei Fratelli Musulmani. Pertanto, seppur triste, il silenzio sulla minaccia che incombe sul futuro delle donne tunisine (come su quelle iraniane) è coerente con le scelte di politica estera compiuta dall’Italia. E in nome della resa al fondamentalismo, Giuseppe Conte continuerà a corteggiare Kaies, vantandosi delle lettere di richiesta di collaborazione a lui inoltrate. Gli 11 milioni di euro non sono riposti in buone mani.