Parto dalla come sempre ineccepibile analisi di Souad Sbai sulla questione della persecuzione francese degli islamici per una riflessione sul problema jihādista. A parte la nota differenza tra il grande jihad e il piccolo jihad, che entra nella speculazione teologico-filosofica, ciò che interessa individuare è la tattica diversificata di intrusione dei movimenti islamisti in ambito europeo. Nei primi anni del Novecento, in Russia, esistevano movimenti terroristici che attentavano alla sicurezza della popolazione e dell’autorità dello zar, ma è con il movimento bolscevico che la strategia rivoluzionaria prende piede. In due modi: con il denaro e con il malcontento interno. Da un lato, ci fu un enorme finanziamento dell’organizzazione eversiva: solo la Germania, durante la Prima guerra mondiale, versò tra i 40 e gli 80 milioni di marchi agli agenti che agivano contro Nicola II e questi, dall’altro lato, erano attivi a creare dissidi interni al Governo e al regime per generare una debolezza diffusa del potere imperiale.
Se osserviamo il jihad da un punto di vista della guerra rivoluzionaria – dovendo per ragioni di spazio tagliare con l’accetta le altre variabili – le due tattiche sono sovrapponibili. Un abbondante flusso di denaro dal Qatar e dai Fratelli musulmani sotto la copertura di aiuti umanitari ai correligionari in Europa e, contemporaneamente, una infiltrazione metodica e pervasiva nelle istituzioni occidentali di cui il reato di islamofobia ne è un esempio chiarissimo. Questa operazione dichiaratamente manipolativa è finalizzata a rompere una eventuale solidarietà interna agli Stati di fronte al pericolo islamista e a indebolire il fronte interno davanti ad un nemico comune creando due fazioni: i “buoni” accecati dall’umanitarismo suicida e i “cattivi” accusati di egoismo malvagio.
Souad Sbai ha perfettamente centrato il problema. Recep Tayyip Erdoğan e accoliti sono gli impresari di una iniziativa politica e militare che ha come bersaglio l’Europa e la sua civiltà. La religione è assolutamente secondaria in questa operazione, se non come strumento politico e giuridico per occupare un territorio considerato nemico, e la diffamazione mediatica è solo uno dei dispositivi messi in atto da tempo, assieme a quello finanziario, a quello culturale, a quello commerciale ed altri più sottili e impercettibili espedienti.
Basta vittimismo e autocommiserazione! Stanare gli imam che predicano la radicalizzazione, gli ulema che controllano l’integrità dottrinaria e gli intellettuali che supportano questa nuova forma di lotta sociale è dovere imprescindibile di uno Stato e del suo Governo, che nulla ha a che vedere con il noioso e scontato razzismo usato per confondere la massa. Alla fine, i terroristi sono solo i manovali della violenza, perché quella più cupa ed eversiva è situata ai piani alti del sistema.
Di Adriano Segatori