L’attentato terroristico che ha portato alla tragica morte dell’ambasciatore italiano in Congo, Luca Attanasio, ci pone nuovamente di fronte alla realtà del mondo africano. Al di là dei safari e di quei recinti di bellezza, paesaggi e tramonti che fanno venire il mal d’Africa, imperversa la malvagità più brutale e inumana, verso la quale il cosiddetto “primo mondo” continua a chiudere gli occhi o a fare spallucce, lavandosi la coscienza ipocritamente con qualche opera di beneficienza o aderendo semplicemente alla narrativa ideologica di stampo immigrazionista.
Il copione sembra già scritto: tra qualche giorno ci si dimenticherà di Luca, di chi voleva probabilmente rapirlo per ottenere un riscatto e del contesto circostante. Le organizzazioni internazionali si riempiranno delle solite buone parole, con qualche iniziativa volta a distribuire “mollichelle” qua e là, che possono sì aiutare qualcuno (ben vengano quindi), ma non contribuiscono a risolvere in maniera sostanziale il problema del sottosviluppo economico, correlato a quello delle violazioni dei diritti umani. Sottosviluppo economico fa il paio con povertà e quindi con “fame” e “sete”, con un’atavica mancanza di cibo e acqua fin dalla più tenera infanzia, per procurarsi i quali l’uomo è capace di tutto, anche delle azioni più cruente e spregevoli.
Certo, le guerre, i genocidi, le malversazioni, la corruzione che hanno straziato e continuano a straziare il Continente, non si spiegano solo così, riducendo il discorso alla variabile della “sicurezza alimentare”. Ma cibo e acqua contano, contribuiscono a “fare” le persone, a determinarne lo sviluppo umano. E finché lì mancheranno, insieme a un’adeguata educazione scolastica, i Paesi africani resteranno infestati da gruppi armati e criminali, a prescindere dalla connotazione politico-ideologica che decidono eventualmente di assumere, semmai ne serva una per saccheggiare, rapire e uccidere. Luca questo lo sapeva ed è per questo che, alla retorica e alla demagogia “buoniste”, preferiva l’azione concreta a favore dei bisognosi, degli ultimi, senza battage mediatico e con il solo fine di produrre risultati concreti. Un ambasciatore-missionario, così mi era subito apparso quando lo incontrai a Casablanca, dove ha servito come Console italiano. Una sensibilità e un’apertura di cuore verso l’altro fuori dal comune, straordinaria: bambini, donne, i soggetti più vulnerabili, erano costantemente al centro delle sue preoccupazioni anche nel suo incarico di diplomatico.
Di Souad Sbai