Presidenzialismo, tra speranze e dubbi

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Presidenzialismo, tra speranze e dubbi – In Italia il dibattito sull’elezione diretta del Presidente della Repubblica ha un andamento, come si usa dire “carsico”, nel senso che il tema, costantemente presente nel confronto tra i giuristi ed i politici, fin dall’Assemblea Costituente, si riaccende in concomitanza di qualche situazione che mette in risalto le difficoltà del sistema vigente.

Ad inizio anno, la (ri)elezione di Sergio Mattarella al termine di una serie di votazioni andate a vuoto, ha evidenziato le difficoltà incontrate dai partiti nell’individuare una candidatura ampiamente condivisa. È stato così accelerato l’esame della proposta di legge (Atti Camera n. 716) di revisione costituzionale
concernente “l’elezione diretta del Presidente della Repubblica”, prima firmataria Giorgia Meloni, “storica proposta di Fratelli d’Italia”, come si legge nella relazione
illustrativa.

Andata in discussione alla Commissione affari costituzionali della Camera, a metà marzo la proposta è stata bocciata. Tuttavia, merita di essere approfondita perché di presidenzialismo si parlerà ancora. La proposta procede dalla modifica dell’art. 85 della Costituzione prevedendo che “Il Presidente della Repubblica è
eletto per cinque anni. Può essere rieletto una sola volta”.

“Le candidature sono presentate, secondo le modalità stabilite dalla legge, da un gruppo parlamentare presente in almeno una delle Camere o da duecentomila
elettori, ovvero da deputati e senatori, membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia, consiglieri regionali, presidenti delle Giunte regionali o sindaci, nel numero
stabilito dalla legge”.
“È eletto il candidato che ha ottenuto la metà più uno dei voti validamente espressi”. Qualora nessun candidato abbia conseguito la maggioranza si va al
ballottaggio.

Il Presidente nomina il “Primo Ministro” e presiede il Consiglio dei ministri, che “nomina e revoca”. “Dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile”. È prevista la c.d. “sfiducia costruttiva”, nel senso che la mozione deve essere “motivata e deve indicare la persona alla quale il Presidente della Repubblica deve
conferire l’incarico di Primo Ministro”.

La proposta desta più di qualche perplessità. Infatti, scontata l’opposizione dei monarchici che in un comunicato, richiamato il potere indipendente ed arbitrale del
re, “estraneo alla logica dei partiti… come attesta l’esperienza delle migliori democrazie d’Europa, tutte monarchie parlamentari”, vi sono indubbiamente forti elementi di perplessità. A cominciare dai limiti della elezione popolare di un candidato in realtà scelto dai partiti. Anche la sfiducia costruttiva, che impone un candidato Primo Ministro ad un Presidente della Repubblica che presiede il Consiglio dei ministri le cui scelte politiche sono evidentemente contestate, incrina la stessa immagine del Capo dello Stato, di fatto sfiduciato insieme al “suo” governo, nonostante l’elezione popolare.

La Costituzione di uno stato è una legge da maneggiare con cura, nella quale diritto e politica vanno di pari passo. Le democrazie liberali si basano sull’equilibrio dei poteri garantiti da un capo dello Stato, re o presidente, titolare, al di fuori del ruolo dei partiti, di una funzione arbitrale.
Forse basterebbe prevedere solamente l’elezione a suffragio generale e diretto.
A volta si ha l’impressione che il presidenzialismo esprima la nostalgia dell’“uomo forte” e “solo al comando”, sempre nell’aspettativa di chi propone la riforma che
l’eletto sia della sua parte.

Di Salvatore Sfrecola

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