IL FENOMENO EQUIVOCO DELLA DENATALITÀ

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Quando viene trattato il problema della denatalità – massima in Italia, ma preoccupante in tutta Europa – gli strumenti per comprendere questo fenomeno suicida della nostra civiltà sono quelli offerti dallo stesso sistema che l’ha determinato. I tenutari del potere e del pensiero spezzettano le singole cause e le inquadrano in maniera settoriale all’interno delle specifiche griglie di interpretazione – economia, sociologia, sessuologia, psicologia ecc. Una premeditata cortina fumogena per offuscare il nucleo del problema, che è essenzialmente politico.
Da decenni un’atmosfera mortifera pervade il pensiero occidentale, una ideologia di sterilizzazione che parte dal rifiuto della maternità come evento disturbante il percorso esistenziale predefinito dalla società dell’efficienza e del successo egoistico, e arriva all’ipotesi dell’eutanasia per i vecchi disabili e improduttivi. Quello che si evidenzia in una visione sistematica del fatto è una strategia contro la famiglia e, con essa, varie tattiche che convergono verso questa distruzione.
La denatalità rientra in quella agenda della post-modernità che ha fatto proprie le teorie di quel Thomas Malthus che predicava la castità e il salario di sussistenza, e le ha attualizzate: teoria gender, quindi sterilizzazione preventiva, e reddito di cittadinanza, ovvero sussidio di nullafacenza.
Certo, c’entra l’emancipazione della donna, il diritto alla sua autoaffermazione, il costo della vita, l’infantilizzazione del maschio, la deresponsabilizzazione della coppia, la precarizzazione dell’esistenza ma, al netto dell’enfasi demagogica su queste ed altre argomentazioni, rimane in primo piano il bersaglio contro la famiglia naturalmente intesa. E questa è Politica, volutamente con la P maiuscola.
Perché uno Stato che intenda essere l’educatore del popolo, l’allevatore delle anime dei cittadini, il creatore di un destino condiviso, il difensore della Nazione, non può negare una semplice verità, efficacemente espressa da Richard Korherr nel lontano 1927: “La famiglia, cellula embrionale del corpo del popolo, è in gravissimo pericolo. Essa è in un processo di disfacimento e di decomposizione. Se questa evoluzione procede ulteriormente, tutto il corpo della popolazione è destinato a perire”. Questa considerazione, dopo quasi un secolo e alcune rettificazioni storicamente documentate, è ormai confermata: una agonia in rapido exitus.
Dalla funzione genitoriale all’occupazione giovanile, dal supporto alla maternità ai sostegni lavorativi, dall’incentivazione economica al rispetto per la vita: tutte buone argomentazioni di impegno politico. Ma questo può rientrare solo in un criterio che superi il mero intendimento organizzativo. Esso necessita di una visione che dev’essere etica e spirituale, due dispositivi che non sembrano essere né interesse né prerogativa di questo potere.
Dove il nucleo della propaganda trova nell’aborto e nell’eutanasia i due pilastri del diritto, il diritto alla vita non ha fondamento di esistenza.

Di Adriano Segatori

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