IL BURQA: L’IMPOSTURA DELLA TRADIZIONE
In Afghanistan – dopo l’ennesimo fallimento delle esportazioni della democrazia – il terrore è tornato a dominare. Dopo quindici mesi dalla fuga ignominiosa dell’Occidente liberatore targato USA, ciò che era stato rimosso – ma non cancellato – è rientrato nella realtà come un incubo o, per dirla in termini psicoanalitici, come un sintomo peggiore della rimozione.
Era già accaduto in Vietnam con la furia sanguinaria deikhmer rossi: decimazione di oltre un milione di Cambogiani, con preferenza a intellettuali e sospetti di contatto con l’Occidente corrotto e vizioso.
Perché sintomo, anche in questo caso? Perché emersione di un sentimento interiore di odio, di livore, anche di invidiarepressa nei confronti del pensiero libero e della coscienza autonoma.
Un filo rosso unisce le due esperienze, una passata ed una in atto: in entrambi i casi c’è, da parte dei fondamentalisti, la volontà di stroncare ogni forma di cultura e, con essa, la capacità critica e di confronto con altre realtà.
La peculiarità che si fa evidente nella prassi talebana è la punizione specificamente della femminilità. La donna è – per sovrapposizione – quella Eva che offre la mela ad Adamo, la cui assunzione avrebbe permesso l’accesso all’albero della conoscenza. Con un’ulteriore aggravante. Che in Afghanistan le donne non possono neppure vedere oltre la zanzariera del burqa, altroché accesso all’università.
Il dominio dev’essere totale: culturale, fisico e psicologico.
Il poeta siro-libanese Adonis, in una intervista con la psicoanalista Houria Abdelouahed, traduce burqa come “pecora”, “animale strisciante”, “bestia da soma”: un appunto non sul vestiario, ma sulla umanità della donna. Quindi, l’accesso all’università è il minimo – si fa per dire – della degradazione del femminile: qui si arriva alla negazione dell’umano.
Un tempo le donne si esprimevano come “poetesse, musiciste, danzatrici”, mentre ora, con il predominio fondamentalista, non devono esistere nemmeno come persone.
Da Eva peccatrice e seduttrice dell’Antico Testamento alla donna come “essere che non pensa”, secondo la sharia, e che quindi non può studiare.
L’Isis, o qualunque altra sigla a scelta del terrorismo islamista, “incarna la chiusura, l’ignoranza, l’odio del sapere, l’odio dell’umano e della libertà”. Niente è vero al di fuori dell’interpretazione letterale della legge, e niente può essere tollerato al di fuori della legge.
Pensare a sanzioni in questo caso – come documentatamente in altri casi – è semplicemente patetico. La fede, in qualunque sua espressione e pratica si esprima, si fa beffe di ogni penosanegoziazione. Per questo l’Occidente è perdente in qualsivoglia forma di confronto.
Per altro, nel momento in cui tu hai bisogno di intabarrare la donna per evitarle ogni forma di adescamento, significa in maniera speculare che tu consideri il maschio un animale privo di controllo e facile agli impulsi. E non mi pare una gratificante considerazione di sé.
Certamente, come dice l’amico Massimo Fini, l’Occidente non è un buon esempio di emancipazione con le sue soubrette sgallettanti, ma d’altra parte non è concepibile neppure un’accettazione passiva della disumanizzazione della femminilità.
Rispetto delle tradizioni sì, ma non quando queste sono infarcite di falsificazioni storiche e culturali. Dall’accettazione della sharia all’ammissione del cannibalismo sarà pure una provocazione, ma è meglio farci un pensierino.
Di Adriano Segatori