L’accordo tra UE e Tunisia è uno sviluppo positivo, ma per risolvere la questione migratoria non basta. L’europeizzazione della questione migratoria ricercata dal governo italiano dovrà superare soprattutto l’ostacolo dei promotori dell’agenda immigrazionista.
L’accordo tra UE e Tunisia è uno sviluppo positivo, ma per risolvere la questione migratoria non basta. L’essere riuscita ad ottenere il pieno supporto della presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, e del premier olandese, Mark Rutte, in rappresentanza del fronte dei paesi “cicale” spesso molto critici verso l’Italia, è stato senza dubbio un successo politico per Giorgia Meloni, frutto di un convincente lavoro diplomatico. Gli ostacoli da superare erano molti: gli egoismi nazionali, gli interessi divergenti e i pregiudizi infondati sul primo presidente del consiglio italiano di “destra”, del tutto strumentali al tentativo di impedire che l’Italia potesse effettivamente “destarsi” sul versante della politica estera. Alla fine, Francia e Germania si sono fatte da parte. D’altro canto, l’accordo nei suoi contenuti non prevede alcuna svolta decisiva e non può non essere considerato più di una prima pietra posta alla base di un edificio la cui costruzione è solo appena cominciata.
Cominciamo dal documento siglato a Tunisi. In primo luogo, si tratta di un memorandum che per essere implementato necessita di protocolli attuativi ancora da elaborare. Inoltre, non chiede alla Tunisia più di quanto non le sia già stato chiesto finora, ovvero di fare la guardia delle proprie frontiere per impedire la partenza delle imbarcazioni allestite dai trafficanti, nella prospettiva naturalmente che le forze di sicurezza e di polizia tunisine svolgano il proprio compito con maggiore efficacia, in virtù delle risorse economiche aggiuntive che l’UE si è detta pronta a garantire per il valore di 105 milioni di euro. A questi andranno ad aggiungersene 150 come aiuto per l’adozione di riforme che favoriscano la crescita economica, che in un orizzonte di lungo periodo potrebbero diventare 900.
Cifre ben lontane dall’essere salvifiche per la profonda crisi che attanaglia la Tunisia, ma pur sempre equivalenti all’apertura di una linea di credito “personale” per il presidente Kais Saied da parte dell’UE, malgrado l’opposizione nei suoi confronti sia all’interno del Parlamento Europeo che tra i funzionari della Commissione. Con l’auspicio che ciò possa giovare nei suoi rapporti sempre estremamente difficili con il Fondo Monetario Internazionale. Il memorandum prevede poi l’identificazione di opportunità d’investimento nel settore dello sviluppo sostenibile e della transizione ecologica, supportati dallo European Fund for Sustainable Development.
D’altro canto, la Tunisia, al pari della Libia e del Marocco, non è altro che il terminale nord-africano del traffico di essere umani il cui cuore pulsante batte più a sud, nell’Africa sub-sahariana. È lì che occorre intervenire in maniera massiccia e strutturata. Il governo italiano questo lo sa e punta infatti ad allargare la propria iniziativa diplomatica ai governi della regione, come dimostra l’imminente Conferenza sulle migrazioni che si terrà a Roma, che fa da interludio al lancio del Piano Mattei previsto in autunno.
L’UE ha già messo in campo importanti strumenti finanziari per favorire la crescita delle economie africane, nell’ambito del Global Gateway. Partendo da Tunisi, l’Italia sta ora cercando di condurre Bruxelles all’adozione di una strategia regionale caratterizzata da interventi finalizzati a produrre quanto meno una mitigazione della questione migratoria. L’esito delle prossime elezioni europee sarà probabilmente determinante nel conferire o meno a Giorgia Meloni la forza politica necessaria a realizzare l’impresa.
Nel frattempo, il traffico di essere umani raddoppia, triplica, quadruplica i suoi effetti in termini di sbarchi sulle coste della penisola. Mentre la situazione nelle stazioni e nelle strade delle città italiane è sotto gli occhi di tutti, a cominciare da Roma. Un degrado inaccettabile, anzitutto la dignità degli stessi migranti come esseri umani, che abbiano sulla testa un tetto o un ponte sotto cui dormire: è questo il sogno che inseguivano? Perché continuare a incentivare le illusioni che molto ingenuamente li spingono a partire? Perché continuare ad auto-illudersi recitando il mantra dell’integrazione? Parola, questa, ridotta ormai a un vuoto slogan, sul cui significato andrebbe aperto un dibattito a viso aperto e senza timori.
L’europeizzazione della questione migratoria ricercata dal governo italiano dovrà superare soprattutto l’ostacolo dei promotori dell’agenda immigrazionista, già tutti schierati nel rivendicare che la Tunisia non è un paese sicuro per i diritti umani dei migranti come località di permanenza temporanea prima del rimpatrio nei paesi di origine, i quali sono anch’essi insicuri. Mentre l’“aiutiamoli là” è da escludere a priori, figuriamoci il Piano Mattei e le altre iniziative dell’esecutivo. Per qualunque cosa c’è un “no” pronto a difendere la realizzazione degli obiettivi ideologici prestabiliti. Non resta dunque che facilitare gli sbarchi in coordinamento con i trafficanti. Ma se un giorno gli stessi migranti dovessero decidere di non partire più, cosa farebbero i presunti paladini dei loro diritti?
Di fronte al muro delle strumentalizzazioni di una vicenda così drammatica dal punto di vista umanitario, occorrono maggiore coraggio e fermezza sia nel contrapporre pubblicamente le buone ragioni alla base dell’azione del governo, che nel garantire la certezza dell’applicazione delle normative sull’immigrazione irregolare. Il consenso degli italiani non potrà che incrementare e di ciò beneficerà anche la capacità del governo di incidere sull’agenda europea e internazionale.