I misfatti del regime turco di Recep Tayyip Erdogan sono divenuti ormai all’ordine del giorno. Mentre il sultano di Turchia si appresta a infliggere il colpo di grazia alla democrazia, dopo aver ribaltato il risultato delle elezioni per il sindaco di Istanbul, sta indignando il mondo intero il caso del palestinese Zaki Mubarak Hasan e della sua morte sospetta nel carcere di Silivri, sempre a Istanbul. Morto suicida in carcere secondo le autorità turche, barbaramente torturato e ucciso la versione della famiglia di Zaki.
Il carcere di Silivri può essere considerato la versione turca dell’Evin di Teheran, per 40 anni il principale luogo di detenzione degli oppositori politici del regime khomeinista iraniano, brutalmente torturati.
La prigione era già salita agli onori delle cronache internazionali perché è lì che sono tuttora rinchiusi in stato d’arresto centinaia di oppositori rei di aver intrapreso il zaki .
Attorno al carcere di Silivri sono ancora vive e non accennano a placarsi le polemiche riguardanti le recenti scomparse di Ibrahim Halil Özyavuz, medico, e Zeki Güven, ex alto dirigente della polizia di Ankara, avvenute lo scorso anno. Güven sarebbe tempestivamente deceduto per attacco cardiaco poco prima della sua testimonianza in aula, nella quale avrebbe potuto rivelare, forse, segreti scomodi per il regime erdoganiano. È per questo che nessuno crede alla versione ufficiale diramata dalle autorità penitenziarie, che hanno invece parlato di suicidio per Özyavuz, nonostante gli evidenti segni di torture presenti sul cadavere.
Il caso di Zaki Mubarak Hasan è, dunque, solo l’ultimo dei misteriosi decessi occorsi nella prigione degli orrori di Erdogan. Arrestato il 15 aprile a Istanbul insieme a un altro uomo con l’accusa di spionaggio per conto degli Emirati Arabi, a pochi giorni di distanza Zaki è stato ritrovato penzolante all’interno della sua cella con una corda appesa al collo. Di qui la narrativa del suicidio propagandata sia dai media turchi che da Al Jazeera.
I famigliari di Hasan hanno chiesto sin da subito la restituzione del cadavere per verificare con un’autopsia le circostanze della morte. Restituzione che è avvenuta solo 16 giorni dopo, forse il tempo necessario a eliminare o celare i segni delle torture inflitte a Zaki. Ciononostante, non era possibile nascondere il volto sfigurato, il sopracciglio spaccato, gli organi estratti dal corpo insieme alla gola e alla lingua, le unghie strappate.
Di Laila Maher