A due giorni dalla visita in Israele del capo del Pentagono, l’amministrazione Biden ha sbloccato la vendita militare verso gli Emirati Arabi, la stessa che aveva stoppato poco dopo l’insediamento: vale 23 miliardi di dollari, per F-35 e droni. Si attendono novità sull’Arabia Saudita, ma intanto la decisione riporta realismo al dibattito (anche italiano) sull’export militare. Ecco perché
Via libera da Joe Biden alla maxi vendita militare agli Emirati Arabi, la stessa che era stata avviata da Donald Trump e poi bloccata dalla nuova amministrazione. Vale ben 23 miliardi di dollari, cifra confermata ieri da un portavoce del dipartimento di Stato americano, e dovrebbe riguardare 50 velivoli F-35 e 18 droni armati. Non sembra casuale che la notizia sia arrivata all’indomani della visita in Israele del capo del Pentagono Lloyd Austin, accompagnata dalla nuova rassicurazione a Tel Aviv sull’impegno Usa al mantenimento del suo vantaggio militare nella regione (magari con nuovi F-35). La notizia non può che avere effetti internazionali, considerando che lo stop temporaneo apposto da Biden, era stato inserito tra gli elementi giustificativi di chi (anche nel nostro Paese) invocava il blocco dell’export verso i Paesi del Golfo. Per l’Italia, come spiegato su queste colonne dal generale Leonardo Tricarico, qualche problema anche resta.
Da Trump…
L’amministrazione Biden “continua a rivedere i dettagli e a consultarsi con i funzionari emiratini in merito al futuro utilizzo degli armamenti forniti dagli Stati Uniti”, ha precisato il portavoce del dipartimento di Stato, ma intanto la stampa d’oltreoceano conferma che il piano di export segue ciò che era stato pianificato nei mesi scorsi. Era il 21 gennaio, poche ore prima del giuramento di Joe Biden, quando Reuters riportava l’ultimo atto di Donald Trump in qualità di presidente: la firma su un accordo militare con gli Emirati Arabi per la vendita di 50 F-35 e 18 droni armati. Accordo noto da mesi, su cui aveva lavorato soprattutto il segretario di Stato Mike Pompeo, e che aveva guadagnato la perplessità israeliana. Per far accettare a Tel Aviv la prospettiva di vendita (estesa anche al Qatar), Pompeo e il capo del Pentagono Mark Esper avevano investito grande impegno di rassicurazione nei confronti di Israele, sulla scia del clima di distensione degli Accordi di Abramo. Impegno che si era tradotto nella promessa di rafforzare il “qualitative military edge”, cioè il vantaggio tecnologico militare che il Paese vanta nella regione.
… a Biden
Poi, il 27 gennaio, Biden ha sospeso temporaneamente le vendite a Emirati e Arabia Saudita, riportando così all’origine il dibattito sul tema. Subito, il segretario di Stato Tony Blinken precisava: “È tipico all’inizio di una nuova amministrazione rivedere qualsiasi vendita di armi in sospeso”. Formiche.net scriveva: “Difficile immaginare che Washington voglia privarsi in modo permanente di una leva importante della sua postura mediorientale”. Così è stato, almeno per gli Emirati Arabi, in attesa che la Casa Bianca riveli la decisione relativa alla partita saudita. Vale ricordare che nell’ultimo quinquennio Riad è stata la prima destinazione dell’export americano.
Il vantaggio di Israele
Tra domenica e lunedì, Lloyd Austin ha incontrato in Israele il primo ministro Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Benjamin Gantz. Nel pieno dell’iter di formazione del nuovo governo, l’incontro è servito a proseguire “le consultazioni sulle priorità condivise e riaffermare il duraturo impegno degli Stati alla partnership strategica con Israele e al qualitative military edge”, ha spiegato il Pentagono. Il tema militare si intreccia a dossier più ampi, a partire dall’Iran. “Washington – spiegava l’analisi di Formiche.net – intende affidare all’alleato israeliano il ruolo di viceré nella regione, area la cui stabilità è delicata; basta guardare a quanto accaduto in questi giorni in Giordania; non a caso, Israele è stato recentemente inserito nell’Area of Reposanbility del CentCom; anche perché è in discussione la possibilità che agli israeliani sia affidato il compito di fornire protezione aerea a diversi Paesi del Golfo per conto degli Usa”.
Una riflessione italiana
Il via libera da parte dell’amministrazione Biden offre spunti di riflessione sul caso italiano. Il 29 gennaio, due giorni dopo lo stop dell’amministrazione americana, era infatti emersa notizia della decisione assunta dal governo Conte 2, ovvero la revoca delle licenze all’export di missile e bombe verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi. Una decisione presentata dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio a Giuseppe Conte, il quale “non ha sollevato alcuna obiezione” (spiegava il sottosegretario Manlio Di Stefano). Nonostante l’iter fosse partito la settimana prima alla Farnesina, diversi osservatori notavano la coincidenza con la decisione americana. Seguiva in ogni caso gli esiti del dibattito parlamentare ed europeo più in generale, non senza qualche perplessità (qui il punto di Michele Nones).
“Se approviamo una licenza di fornitura e poi, a metà della sua attuazione, la blocchiamo, con quale credibilità possiamo presentarci a un altro Paese?”, si domandava Carlo Festucci, segretario generale dell’Aiad (la Federazione delle industrie italiane dell’aerospazio, difesa e sicurezza), nell’intervista di Formiche durante i giorni di Idex (fine febbraio), il salone emiratino di Abu Dhabi. “Non si può fermare un accordo nel bel mezzo della sua attuazione – aggiungeva – già me li immagino i nostri competitor che si presentano da potenziali nuovi clienti a raccontare che l’Italia blocca le licenza dopo averle approvate”.