La cosiddetta Jihad liquida dell’Isis si espande fisicamente in Africa e si infiltra via web e social nel resto del pianeta. Il rapporto di Acs
Nel sonno dell’Occidente, distratto dal Covid e dalla SuperLega, la Jihad lascia il Medio Oriente e avanza in Africa, ma non solo.
La minaccia dei gruppi fondamentalisti legati a Daesh o Al Qaeda si sposta dai Paesi dove era nato l’Isis, come Siria e Iraq, soprattutto nel continente nero, ma anche, attraverso Internet, nelle aree del mondo con “lo scopo di creare un sedicente califfato transcontinentale”. A teorizzarlo è il direttore di Acs-Italia, Alessandro Monteduro, nel presentare il Rapporto sulla libertà religiosa. “In 26 nazioni del mondo si soffre la persecuzione. Nove Paesi per la prima volta si sono aggiunti alla lista: sette in Africa (Burkina Faso, Camerun, Ciad, Comore, Repubblica Democratica del Congo, Mali e Mozambico) e due in Asia (Malesia e Sri Lanka)”.
La causa principale di quella che molti definiscono ormai “la jihad liquida“, è “la progressiva radicalizzazione del continente africano, specie nelle aree sub-sahariana e orientale, dove la presenza di gruppi jihadisti è notevolmente aumentata. Questa radicalizzazione non si limita tuttavia all’Africa. Il Rapporto 2021 di Acs sulla libertà religiosa nel mondo descrive il consolidamento di un network islamista transnazionale che si estende dal Mali al Mozambico, dalle Comore nell’Oceano Indiano alle Filippine nel Mar Cinese Meridionale, il cui scopo è creare un sedicente califfato transcontinentale”.
I jihadisti si servono sempre più delle reti, tra web e social, per cercare nuovi affiliati e pianificare le loro azioni. “Il cyber-califfato, in espansione a livello globale, è divenuto ormai uno strumento consolidato – si legge nel Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo di Aiuto alla Chiesa che Soffre – per il reclutamento e la radicalizzazione online in Occidente. I terroristi islamisti impiegano sofisticate tecnologie digitali per reclutare, radicalizzare e sferrare attacchi. Le unità antiterrorismo, pur non essendo in grado di neutralizzare completamente le comunicazioni terroristiche online, sono state comunque capaci di sventare attacchi in diversi Paesi occidental”.
Ma non è tutto. Le minoranze religiose in alcuni Paesi sono state “incolpate della pandemia”. Lo sottolinea il Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo di Aiuto alla Chiesa che Soffre. Durante la pandemia di Covid-19, in Paesi quali Cina, Niger, Turchia, Egitto e Pakistan, «preesistenti pregiudizi sociali si sono trasformati in una maggiore discriminazione delle minoranze religiose, che si sono viste negare anche gli aiuti alimentari e sanitari».
Altro fenomeno in ascesa è quello delle “violenze sessuali usate come arma contro le minoranze religiose. In un numero crescente di Paesi sono stati registrati crimini contro bambine, ragazze e donne, che vengono rapite, violentate e obbligate a cambiare la loro fede attraverso conversioni forzate. Il numero dilagante di queste violazioni, spesso commesse nella più completa impunità, alimenta le preoccupazioni circa una possibile strategia fondamentalista a lungo termine volta ad accelerare la scomparsa di alcuni gruppi religiosi”, sottolinea la fondazione pontificia.
Intanto in Siriai jet militari russi avrebbero condotto oltre 70 attacchi aerei contro le posizioni dell’Isis nel deserto nelle ultime 24 ore, con almeno 200 guerriglieri morti. I velivoli avrebbero preso di mira grotte e bunker nel triangolo Aleppo-Hama-Raqqa. A segnalarlo è l’Osservatorio siriano per i diritti umani, organizzazione con sede a Londra e una vasta rete di collaboratori sul campo. Già venerdì, l’Osservatorio aveva documentato oltre 35 attacchi aerei russi a posizioni Isis, cui sono accompagnate operazioni di rastrellamento delle forze armate siriane e delle milizie sostenute dalla Russia. Queste azioni farebbero da preludio, secondo l’Osservatorio, a una nuova campagna militare nel deserto siriano contro i membri dello Stato islamico.