Il candidato ultraconservatore Ebrahim Raisi ha vinto le elezioni presidenziali in Iran con il 62% dei consensi. Si tratta del risultato ufficiale, seppur ancora parziale. I risultati preliminari, diffusi dal ministero dell’Interno, si basano sullo scrutinio del 90% delle schede, senza calcolare quelle non valide. L’affluenza è sotto al 50% (intorno al 48%), in calo rispetto alle ultime presidenziali del 2017, quando il dato è stato del 73%.Gli aventi diritto erano 59,3 milioni.Tutti i rivali di Raisi si sono già congratulati con lui per la “vittoria” anche prima dell’annuncio dei dati parziali.
L’annuncio di Rohani
Gli iraniani hanno eletto il nuovo presidente al primo turno, ha annunciato il presidente uscente, Hassan Rohani, senza precisare il nome del vincitore. “Mi congratulo con il popolo per la scelta che ha fatto”, ha affermato Rohani alla tv. “Le mie congratulazioni ufficiali arriveranno più tardi, ma sappiamo chi ha avuto un numero di voti sufficiente in questa elezione e chi è stato eletto oggi dal popolo”, ha aggiunto Rohani.
L’unico candidato moderato alle presidenziali iraniane, l’ex governatore della Banca centrale, Abdolnasser Hemmati, si è congratulato con il suo rivale, Raisi, per la vittoria delle elezioni, nonostante ancora non siano stati annunciati i risultati del voto ufficialmente e il ministero dell’Interno ha comunicato che lo spoglio è ancora in corsa. “Mi congratulo per la sua elezioni a 13esimo presidente della Repubblica islamica dell’Iran; spero che il suo governo, sotto la leadership della Guida Suprema ayatollah Ali Khamenei porterà conforto e prosperità alla nazione”, ha scritto Hemmati in una lettera rilanciata dai media ufficiali.
“Spero che la sua amministrazione sia motivo di orgoglio per la Repubblica islamica e migliori l’economia e la vita della grande nazione dell’Iran”, ha aggiunto Hemmati. Poco prima era stato il candidato conservatore, ex comandante dei Pasdaran, Mohsen Rezai, a congratularsi con Raisi per la sua “vittoria” e ad ammettere la sconfitta. Raisi non ha ancora fatto dichiarazioni.
Il capo della magistratura, vicino a Khamenei, era il super favorito nel voto di ieri, segnato da una scarsa rappresentatività dei campi politici: il Consiglio dei Guardiani, l’organo controllato dalla Guida Suprema e che vaglia l’idoneità degli aspiranti candidati, non aveva ammesso alla corsa elettorale diverse figure che potevano ostacolare la strada di Raisi verso la presidenza.
Le trattative con gli Usa sul nucleare
L’elezione presidenziale in Iran incombe su Washington mentre tratta con Teheran per riportare gli Stati Uniti nell’accordo sul nucleare. “Vedremo cosa succederà”, ha detto la vice segretario di Stato Usa Wendy Sherman, durante un evento del German Marshall Fund, ammettendo che le elezioni potrebbero “complicare” i progressi fatti nelle ultime settimane di trattative a Vienna.
Raisi, favorito alla successione di Hassan Rohani, che con Barack Obama aveva firmato nel 2015 il Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa) dal quale Donald Trump nel 2018 è uscito, è stato sanzionato dagli Stati Uniti nel 2019 per violazione dei diritti umani, compresa l’esecuzione di minori e le torture di prigionieri. Raisi, capo della magistratura iraniana sostenuto dall’ayatollah Khamenei, è stato coinvolto anche nella brutale repressione delle proteste del Movimento Verde, ragazzi e ragazze dei quali non si sa più nulla.
Washington naturalmente non negozierebbe direttamente con il presidente iraniano ma la sua elezione rafforzerebbe anche le critiche alla Casa Bianca negli Stati Uniti perché Biden viene considerato troppo morbido con Teheran. Secondo Ali Vaez, direttore del Progetto Iran del Gruppo internazionale di crIsi, l’eliminazione delle sanzioni contro Raisi è sul tavolo dei negoziati di Vienne ma è improbabile che Biden possa approvarla.
Khamenei insiste sul fatto che gli Stati Uniti tolgano tutte le sanzioni prima che l’Iran possa tornare a rispettare i termini del Jcpoa. L’amministrazione Trump ha imposto circa 1.500 sanzioni contro l’Iran nel 2018. La Casa Bianca ha fatto sapere di essere disposta a far decadere le contromisure “non coerenti” con i termini dell’intesa nucleare.
La scorsa settimana, tre ex funzionari del governo di Teheran sono stati tolti dalla lista nera americana, “in seguito a un verificato cambiamento di comportamento”. Il portavoce del dipartimento di Stato, Ned Price, ha categoricamente escluso che sia stata una mossa collegata ai negoziati sul Jcpoa (“non c’è alcuna connessione”). I repubblicani sono contrari al rientro degli Stati Uniti nell’accordo nucleare mentre funzionari americani parlano di passi avanti concreti, con il team a stelle e strisce guidato dall’inviato speciale per l’Iran Robert Malley, che ha condotto 6 round di negoziati a aprile.