Iran – La transizione di potere nella Repubblica Islamica ha bloccato negoziati che sembravano giunti alla stretta finale. Il nuovo presidente ultraconservatore ha però ottimi motivi per rientrare in un’intesa che avrebbe benefici effetti economici per una nazione stremata dalla crisi.
A oltre un mese dalla fine del sesto giro di consultazioni a Vienna, non ci sono segnali di ripresa dei negoziati per ripristinare il Jcpoa, l’accordo del 2015 che aveva posto limiti al programma nucleare civile dell’Iran per impedirgli di sviluppare l’arma atomica. Il nuovo presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha fatto più di un passo avanti, incluse alcune deroghe all’embargo, per ammorbidire Teheran.
A oltre un mese dalla fine del sesto giro di consultazioni a Vienna, non ci sono segnali di ripresa dei negoziati per ripristinare il Jcpoa, l’accordo del 2015 che aveva posto limiti al programma nucleare civile dell’Iran per impedirgli di sviluppare l’arma atomica. Il nuovo presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha fatto più di un passo avanti, incluse alcune deroghe all’embargo, per ammorbidire Teheran.
La Repubblica Islamica si è pero’ mostrata intransigente nel pretendere la revoca di tutte le sanzioni prima di riportare l’arricchimento dell’uranio entro i limiti previsti dall’intesa e di concedere nuovamente agli ispettori dell’Aiea, l’agenzia Onu per l’energia atomica, pieno accesso ai siti nucleari, ovvero le condizioni che gli Stati Uniti, al contrario, chiedono come prerequisito per soddisfare le richieste di Teheran.
L’Iran vuole garanzie sul futuro
Questo braccio di ferro non è sufficiente a spiegare lo stallo, al quale ha contribuito anche la fase di transizione coincisa con le elezioni presidenziali nella Repubblica Islamica. Ci sono infatti ragioni più profonde per le quali le posizioni di Usa e Iran rimangono distanti. Teheran vuole la garanzia che, con la prossima amministrazione, gli Stati Uniti non possano nuovamente abbandonare in modo unilaterale il Jcpoa, come accaduto nel 2018, quando alla Casa Bianca c’era Donald Trump. A complicare il dialogo è inoltre il programma di missili balistici iraniano, che Biden vuole inserire nell’accordo.
Sulla carta, appare difficile sperare in una rapida schiarita ora che, dal 3 agosto, a capo del governo iraniano non c’è più il moderato Hassan Rohani ma il falco Ebrahim Raisi. E nemmeno dalla Russia (altro Paese firmatario del Jcpoa, siglato inoltre da Cina, Francia, Germania, Regno Unito e Ue) arrivano più le consuete dichiarazioni ottimistiche su una prossima conclusione dell’accordo.
“Questo processo non può andare avanti per sempre”, aveva avvertito la settimana scorsa il segretario di Stato americano, Antony Blinken, “la palla resta nel campo dell’Iran”. La preoccupazione di Washington è che, se Teheran continuerà ad arricchire l’uranio, il programma nucleare arriverà a un livello di sviluppo tale da rendere sostanzialmente inutile un suo successivo ritorno nel Jcpoa.
Il cauto ottimismo di Berlino
Sarebbe però prematuro archiviare la partita come persa. Per la Germania, il lavoro iniziato lo scorso marzo era arrivato così vicino alla conclusione che Raisi avrebbe più di un buon motivo per portarlo a termine, a partire dalla popolarità che guadagnerebbe dai benefici economici di una revoca delle sanzioni. “Credo ci siano sufficienti indicazioni su un reale dibattito all’interno del sistema iraniano sul come andare avanti con questi negoziati”, ha confidato una fonte del governo tedesco alla Cnbc.
Secondo Berlino, occorrerà attendere la formazione del nuovo governo iraniano e vedere se, a metà agosto, ci saranno i presupposti per riallacciare i colloqui. In fondo Raisi, nel suo primo discorso alla popolazione, ha promesso di eliminare “le tiranniche sanzioni imposte dall’America” e di “migliorare le condizioni di vita degli iraniani”, sempre più esasperati dalla crisi economica. Due obiettivi che solo il rispetto degli accordi del 2015 puo’ consentirgli di raggiungere.