Stamani, presso la Corte distrettuale di Stoccolma, è iniziato un processo storico: riguarda il massacro di migliaia di prigionieri politici in Iran nel 1988. Anche il neopresidente Ebrahim Raisi è coinvolto, denunciano gli attivisti.
Alla sbarra oggi, accompagnato dai suoi due avvocati, è andato Hamid Nouri, 60 anni. Intanto fuori centinaia di iraniani manifestavano con le fotografie dei loro cari uccisi. La maggior parte erano detenuti, simpatizzanti o membri dei Mojaheddin del Popolo (MKO). Si tratta di un gruppo armato marxista di resistenza alla Repubblica Islamica.
Nouri è finito in manette nel 2019, quando si è recato in Svezia a trovare alcuni parenti. Ciò è stato possibile perché, secondo la legge del Paese scandinavo può essere arrestato chiunque commetta un grave reato anche all’estero.
Il massacro avvenne dopo la guerra tra Iran e Iraq (1980 – 20 agosto 1988). I Mojaheddin del Popolo erano stati dalla parte di Saddam Hussein contro il regime di Ruollah Khomeini e il Grande Ayatollah li temeva ancora.
Migliaia di loro si ritrovarono con il cappio al collo, ma in gran parte non avevano compiuto atti di sangue. Inoltre i fatti per i quali erano stati condannati, risalivano spesso a quando quelle persone erano ancora minorenni.
I cadaveri vennero sepolti in fosse comuni segrete: i parenti degli uccisi non hanno mai saputo dove poterli piangere. Al processo sono stati chiamate decine di testimoni.
Hanno confermato le accuse. In particolare hanno riferito che Nouri era assistente del procuratore nella prigione di Ghoardasht nella città Karaj, situata ad ovest di Teheran, dove avvennero numerose impiccagioni. Altri hanno accusato Raisi, facendo presente che apparteneva ad una “Commissione della Morte”.
Cos’erano? Commissioni create ad hoc decretare chi avrebbe dovuto essere ucciso. Vi faceva parte anche Mostafa Pourmohammadi, che è stato ministro della Giustizia nel governo del presidente “moderato” Hassan Rohani dal 2013 al 2017.
Alessandra Boga