Altre donne sfidano i Talebani in Afghanistan. Questa volta alcune hanno deciso di postare sui social le loro foto in abiti tradizionali, meravigliosamente colorati. Altro che veli integrali neri e burqa (monocolori)!
L’idea è partita da Bahar Jalali, giovane ex docente di storia all’American University di Kabul e fondatrice del primo programma di studi di genere nel suo Paese. Intervistata dalla Bbc, ha sottolineato come con il ritorno al potere degli “studenti coranici” siano “sotto attacco l’identità e la sovranità afghane”.
All’iniziativa della storica ha aderito per esempio Kahkashan Koofi, 28 anni, che fino a qualche giorno fa lavorava alla TV di Stato. Inorridita anche lei per le donne in niqab nero che sabato 11 settembre (sic!) hanno partecipato alla manifestazione pro – governo talebano di fronte all’università della capitale afghana, ha deciso di reagire in questo modo su Twitter. “Quando mi sono guardata allo specchio ho avuto un attimo di pace, qui viviamo in prigione”, ha detto.
E’ nata così la campagna #DoNotTouchMyClothes, “Non toccate i miei abiti”, e #AfghanistanCulture (ricorda la campagna contro il velo obbligatorio in Iran “My Stealthy Freedom” della giornalista americana di origine iraniana Masih Alinejad), per contrastare la vulgata secondo cui il burqa e il velo integrali siano indumenti tradizionali afghani (il niqab è invece diffuso nei Paesi del Golfo).
“Voglio che il mondo sappia che questi abiti non appartengono alla nostra cultura, alla nostra identità”, ha detto Bahar Jalali. Tra le sue sostenitrici c’è Ruhi Kahn, ricercatrice della London School of Economics: la cultura afghana, rivendica, è “tutta incentrata sulla gioia ed i colori”. “Non è solo una protesta contro le regole imposte dai Talebani, sulla base di quello che loro ritengono islamico, ma anche contro l’idea occidentale di quello che le donne afghane dovrebbero indossare”, ha dichiarato.
Alessandra Boga