Intervista a Massimo Papa. Cosa sta succedendo in Afghanistan? – AGI ha intervistato il professor Massimo Papa, docente di diritto dei Paesi islamici presso l’Università di Roma Tor Vergata, con anni di esperienza sul campo per fare chiarezza in un quadro sempre più complesso.
Dopo il ritiro americano e il ritorno al potere dei talebani sono sorti interrogativi su quale sarà la forma di governo con cui gli islamisti governeranno il Paese. Il recente giallo sulle sorti del vice premier Mullah Abdul Ghani Baradar è il risultato di una faida interna ai talebani che non fa che aumentare l’incertezza sul futuro dell’Afghanistan.
AGI ha intervistato il professor Massimo Papa, docente di diritto dei Paesi islamici presso l’Università di Roma Tor Vergata, con anni di esperienza sul campo in Afghanistan per fare chiarezza in un quadro sempre più complesso.
I talebani hanno prima annunciato un governo sul modello iraniano, poi hanno parlato di un Emirato, professore in che direzione sta andando l’Afghanistan?
In questo momento è difficile fare previsioni sul futuro della forma di Stato e sul governo. Inizialmente si era parlato di una guida suprema di natura religiosa, in base al quale il mullah Akhundzada avrebbe avuto poteri simili ma non uguali, a quelli dell’ayatollah Khamenei in Iran per indirizzare il Paese dal punto di vista religioso, affiancato da un governo incaricato di dare un indirizzo politico. Da quello che è emerso l’organizzazione talebana prevede che le decisioni sulle scelte politiche del governo sarebbero state poi sottoposte all’approvazione da parte del leader religioso. Non dimentichiamo però che i finanziamenti dall’estero, e mi riferisco ora al Qatar, impongono un indirizzo politico-religioso e spingono per un’ideologia di Stato molto più vicina a quella dei Fratelli Musulmani e una islamizzazione delle istituzioni dal di fuori più accettabile per le potenze occidentali. Non dimentichiamo anche la Turchia, il cui ruolo potrebbe essere importante per spingere i talebani verso una forma di governo meno radicale di quella voluta da alcune frange, in particolare il potentissimo clan Haqqani, rappresentanti delle madrasa di Peshawar.
Negli ultimi giorni la scomparsa del vice premier Baradar, forse morto, e’ stata il risultato di una faida interna con il clan Haqqani, cosa significa per l’Afghanistan?
Anche se non è chiaro cosa sia successo a Baradar è evidente che l’uscita di scena del volto piu’ ‘diplomatico’ dei talebani è il risultato di una faida interna figlia di interessi eterodiretti. Una eventuale sconfitta di Baradar e l’affermazione degli intransigenti Haqqani è una crepa che può portare a una spaccatura che non giova a nessuno. Con il ritorno al potere, i talebani si sono affrettati a rassicurare la comunità internazionale per non rimanere isolati. Questa faida va nella direzione opposta e impone la ricerca di una soluzione. I grandi attori in campo, esattamente come i talebani hanno interesse a un riconoscimento che porti alla stabilizzazione.
Come giudica la rapidità del ritorno al potere dei talebani?
Quando pensiamo al ritorno al potere dei talebani non dobbiamo dimenticare che questo non è il frutto di un’azione di pochi mesi, ma del fatto che i talebani non hanno mai perso il controllo delle valli e delle aree rurali dove hanno continuato ad amministrare la giustizia, mentre comunità internazionale e potenze occidentali hanno avuto un’azione ridotta ai principali centri urbani. Un’azione limitata che ha anche favorito la corruzione nell’esercito e nella politica. Fattori che hanno portato a un rapido collasso, non del tutto preventivato, perlomeno nei tempi.
Dopo l’uscita di scena degli Usa quali sono i nuovi attori interessati all’Afghanistan?
Stiamo assistendo a un riassestamento di dinamiche ed equilibri. In primo luogo è la Cina che mira ad avere una stabilizzazione dell’area più rapida possibile per poter dare seguito al progetto della nuova ‘via della Seta’, per realizzare la quale l’Afghanistan è un pezzo fondamentale del puzzle. Pechino preme per un riconoscimento dei talebani che sia il piu’ rapido possibile. Il Qatar è stato il primo Paese a muovere passi concreti in Afghanistan a livello politico ed economico e ora si assiste a un reinteressamento dell’Arabia Saudita. La monarchia non vuole perdere terreno dopo il gelo iniziale, attraverso l’Afghanistan ci si gioca il prestigio e il primato nel mondo islamico e i sauditi non hanno alcun interesse a perdere terreno nei confronti del ‘piccolo’ anche se ricchissimo Qatar.
Prima Al Qaeda e ora Isis-K, l’Afghanistan può tornare rifugio per terroristi?
Cellule prima di Al Qaeda e ora di Isis-Khorasan sono state utilizzate da Paesi come il Pakistan prima per controllare il Paese, come ai tempi di Al Qaeda, poi per colpire e indebolire il governo di Ashraf Ghani e mi riferisco all’Isis-K. Ora risultano scomode a tutti, come testimoniato dall’attentato di Kabul e costituiscono una spina nel fianco del governo talebano, che dovrà contrastarle come primo passo per ottenere una legittimazione. C’è evidentemente qualcuno che ha interesse a soffiare sul fuoco per alzare il prezzo nelle trattative con l’attuale governo di Kabul.
Se lo stato non funziona sono i civili i primi a pagarne il prezzo, siamo dinanzi a una nuova crisi umanitaria?
Tutti ora parlano di problemi geopolitici e non ci si concentra sul dramma umanitario che è già in atto. Ci si dimentica che le milizie talebane riescono a sostenersi attraverso l’imposizione di dazi e il commercio di oppio, il vero problema è quello della presenza dello stato, del come fornire beni di prima necessita’ alla popolazione, come pagare stipendi, come evitare flussi di migranti spinti dalla mancanza oggettiva di forme di sostentamento. Non dimentichiamo che chi parte sono soprattutto i giovani che devono avere un ruolo nel futuro dell’Afghanistan.