AUKUS – Sono almeno tre gli elementi di valutazione che emergono dalla crisi tra la Francia e le potenze anglosassoni che hanno dato vita all’alleanza AUKUS con l’annuncio della rinuncia australiana ai 12 sottomarini francesi tipo Barracuda (convenzionali) previsti dal contratto del 2016 a cui ora sono sari preferiti battelli a propulsione nucleare da realizzare con gli anglo-americani.
Il primo riguarda il rafforzamento dell’asse strategico tra le potenze anglosassoni evidente in ogni angolo del mondo. Nel Pacifico l’AUKUS ripropone il blocco delle potenze occidentali vincitrici della Seconda guerra mondiale che, allargato a India e Giappone nell’ambito del QUAD, si pone come argine alla crescente potenza cinese Cina.
Un segnale che si aggiunge a quelli ormai molto evidenti in ambito NATO di una linea anglo-americana-canadese che si presenta ormai come traino dell’Alleanza Atlantica rispetto a vicende spinose come la crisi con la Russia e gli aiuti militari che le potenze anglo-sassoni forniscono all’Ucraina, stato non membro della NATO, alimentando le tensioni con Mosca.
Del resto, al di là delle dichiarazioni ufficiali, molti militari e diversi governi europei hanno espresso malumori per come gli alleati anglosassoni hanno gestito “da padroni” il ponte aereo da Kabul che ha posto fine alla partecipazione al conflitto afghano.
Il secondo elemento, che resta parzialmente sotto traccia, riguarda il fatto che l’emarginazione a sorpresa della Francia dalla commessa multimiliardaria per i sottomarini australiani rappresenta uno schiaffo grave a Parigi e al suo ruolo di potenza nucleare peraltro ben presente con truppe e territori d’oltremare negli oceani Indiano e Pacifico.
Le potenze anglo-sassoni non si sono limitate a evitare di coinvolgere la Francia nell’alleanza nell’Indo-Pacifico ma hanno utilizzato l’annuncio a sorpresa della nascita dell’AUKUS per comunicare con brutalità a Parigi lo stop a una fornitura militare che certo non stava progredendo nella direzione migliore (ma anche quella per le fregate britanniche alla Marina Australiana procede con forti ritardi e aumenti di costo) ma che avrebbe dovuto venire negoziata, discussa e annunciata con ben altri metodi. Specie tra alleati, ammesso che questo termine oggi abbia ancora un senso.
Di fatto le tre potenze anglosassoni hanno messo a punto in segreto anche dagli alleati occidentali (e infatti l’esclusione del Canada dall’intesa sta costando dure critiche al premier Trudeau) la costituzione dell’AUKUS e il “siluro” ai sottomarini francesi: un programma che sembrava da tempo destinato a fallire per le difficoltà tecniche e finanziarie insite nel trasformare in convenzionale un sottomarino progettato per la propulsione nucleare, per i problemi a rendere compatibili sistemi da combattimento ed elettronica americani su battelli francesi e per l’inadeguatezza di fondo dell’industria australiana della Difesa rispetto a programmi così ambiziosi.
Inadeguatezza che peraltro sarà ancora più manifesta con il programma che prevede di realizzare ora almeno 8 sottomarini a propulsione nucleare con tecnologia fornita da Gran Bretagna e Stati Uniti.
L’umiliazione che Londra, Canberra e Washington hanno voluto infliggere alla Francia spiega la reazione di Parigi (che abbiano raccontato nei dettagli) dove si parla addirittura di mettere in discussione i rapporti interni alla NATO.
Con la sua dura risposta Parigi sottolinea con orgoglio il ruolo di potenza indipendente e risponde senza timori riverenziali a chi minaccia, per giunta con arroganza e pessime maniere, i suoi interessi nazionali e industriali.
Anzi, Parigi contrattacca proprio nel settore delle commesse militari “invadendo” un mercato della Difesa da sempre quasi esclusivamente statunitense come quello della Corea del Sud, come ha raccontato il sito Formiche.net.
L’ambasciatore francese a Seul ha detto in conferenza stampa che Parigi intende condividere la tecnologia delle portaerei e dei sottomarini a propulsione nucleare con la Corea del Sud, tecnologie che consentirebbero a Seul una maggiore autonomia strategica dagli Stati Uniti e di bilanciare nel Pacifico la crescente presenza di battelli di questo tipo cinesi, russi, presto australiani e in futuro anche indiani e probabilmente giapponesi.
Di certo l’AUKUS ha aperto la corsa ai sottomarini nucleari d’attacco (SSN) il cui valore strategico è abbinato a un formidabile business finanziario: un contesto in cui tutte le potenze competitive in termini di prodotti e tecnologie cercheranno di acquisire quote di mercato.
Infine, l’orgogliosa reazione francese contro l’asse anglosassone, ben rappresentata dalle dichiarazioni di fuoco del ministro degli Esteri, Jean-Yves Le Drian (nella foto sopra), potrebbe forse scuotere i partner europei che proprio in queste settimane hanno rispolverato il tema “sempre-verde” del cosiddetto “esercito europeo”.
La tentazione di schierarsi con l’asse anglo-americano, emarginando la Francia, percepibile in diverse nazioni europee inclusa l’Italia, non aiuterebbe il disegno di un’Europa della Difesa e confermerebbe la volontà di non emanciparci dal ruolo di meri gregari.
Certo la Francia ha sempre fatto di tutto per ostacolare il “made in Italy”, specie nella Difesa, ma non sono certo stati gli unici a farlo. Meglio infatti non dimenticare, per restare in Australia, che nella commessa per le nuove fregate la gara è stata vinta nel 2016 dalle Type 26 britanniche (nella foto sotto), esistenti solo sulla carta e già in ritardo sul programma, nonostante la Royal Australian Navy avesse espresso la preferenza per le Fremm di Fincantieri.
Quanto all’Europa è difficile non notare che l’annuncio della costituzione dell’’AUKUS è giunto in contemporanea con la definizione dell’impegno strategico dell’Unione Europea nella regione dell’Indo-Pacifico in cui, oltre alla cooperazione economica e commerciale coi partner regionali, l’Alto rappresentante dell’Ue, Josep Borrell ha annunciato che la Commissione europea intende “esplorare modi” per un dispiegamento delle forze navali “potenziato” da parte degli Stati membri dell’Ue.
La vicenda AUKUS sembra quindi confermare come le potenze anglosassoni concepiscano sé stesse come unico motore strategico dell’Occidente, considerando gli alleati europei e NATO come utili gregari, acquirenti dei loro prodotti per la Difesa, ma da tenere ben lontani dai centri e dai processi decisionali così come dai più grandi contratti militari che hanno ovvi riflessi industriali e geopolitici.
Un’amara realtà che è giusto criticare senza illudersi di poterla modificare, che gli europei devono oggi necessariamente accettare e digerire ma che dovrebbe indurli poi a guardare oltre.