Afghanistan: i talebani uccidono Shaker l’ex soldato delle Forze speciali in fuga

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Afghanistan – Era stato addestrato dagli incursori italiani della Task Force 45 e si nascondeva a Herat. Secondo i compagni superstiti dei Provincial Commandos che ancora cercavano rifugio nell’area non avrebbe mai sparato a sangue freddo contro qualcuno.

Shaker, il soldato delle forze speciali afghane che da oltre un mese viveva a Herat come un topo, è morto. È stato ucciso dai talebani in una traversa della Martyr Mirvais Sadeq Road, una delle strade principali che attraversano la città. Formalmente, una pattuglia dell’Emirato Islamico lo ha incrociato di notte, scambiandolo per uno dei tanti predoni che si intrufolano nelle case ormai vuote, un tempo appartenenti a chi ha lavorato con i soldati italiani e nelle ultime settimane è fuggito insieme alla famiglia. Secondo la versione ufficiale, gli è stato intimato l’“alt” per un controllo. Lui si è girato e ha puntato il suo inseparabile Kalashnikov modificato sulla pattuglia. I miliziani, di conseguenza, hanno immediatamente aperto il fuoco, ponendo fine alla sua giovane vita. Quest’anno, infatti, avrebbe compiuto 34 anni.

Secondo i colleghi, invece, le cose sono andate diversamente. Lo hanno denunciato loro stessi a Repubblica per rendere onore all’amico caduto. “Shaker, come ogni sera, era uscito dal suo ‘buco’”. Questo era una sorta di loculo in cui si nascondeva come molti altri all’interno di una delle case già mappate dai talebani a Herat, come ci aveva raccontato recentemente. L’obiettivo era sempre capire effettivamente cosa stesse succedendo in città per rimodulare le sue strategie di sopravvivenza. “Qualcuno, però, quella notte lo aspettava e, appena è apparso in strada, è stato immediatamente bloccato. Poi, un gruppo di uomini armati lo ha caricato su un pick-up, puntando a sud in direzione di Shindand verso il deserto, dove è stato giustiziato”. Infine, “il corpo è stato riportato a Herat e scaricato in centro per simulare il falso tentativo di reazione”.

I trucchi degli italiani

Shaker, secondo i compagni superstiti dei Provincial Commandos (PRC) che ancora si nascondono nell’area, non avrebbe mai sparato a sangue freddo contro qualcuno. Erano stati gli incursori italiani della Task Force 45 ad addestrarlo a gestire le situazioni improvvise di rischio e lo avevano fatto bene. Lui stesso mi raccontava nei giorni scorsi, tra un’interruzione e l’altra delle telefonate notturne per la paura di essere rilevato, che teoricamente avrebbe dovuto odiare gli italiani perché “ci hanno abbandonati dall’oggi al domani al nostro destino”. Invece, ha sottolineato più volte di doverli ringraziare. Soprattutto i suoi istruttori del Gruppo Operativo Incursori della Marina Militare Italiana. “Se riesco a sopravvivere in questi giorni è merito loro e di tutti i trucchi che ci hanno insegnato. Allora, molti di essi mi sembravano cose noiose e stupide, ma oggi si sono rivelati fondamentali per tutti noi”.

Purtroppo, il potere della paura e della delazione alla lunga sono stati più forti. Secondo una fonte locale, Shaker ed altri suoi commilitoni sono stati venduti all’Emirato Islamico. Non si sa se da qualcuno all’interno del loro gruppo o da altri all’esterno. È certo, invece, che i talebani li cercassero intensamente da tempo. Tanto da mettere taglie sulle loro teste. I fondamentalisti temono che assetti come i PRC possano organizzare efficacemente gruppi di resistenza sul modello di quello del Panshir di Ahmad Massud. Le capacità tattiche-operative acquisite e la conoscenza approfondita del territorio, inoltre, amplificano la loro pericolosità. Di conseguenza, devono essere eliminati al più presto. Non a caso, in diverse province del Paese asiatico è cominciata una serrata caccia all’uomo verso tutti gli appartenenti alle unità specializzate della polizia e dell’esercito afghano.

Un’elite di eroi

Shaker era uno di loro e ne andava fiero. Era nato in uno dei villaggi dal nome impronunciabile vicino Farah, ma presto si era trasferito a Herat per rincorrere il suo sogno: fare il soldato e possibilmente tra le forze speciali. Inizialmente era entrato come recluta di fanteria in un battaglione (kandak) del 207esimo Corpo d’armata. Infine, era riuscito a transitare in una compagnia dei commandos: una “toli” operativa. Parlandoci e anche solo guardandolo si percepiva tutta la sua gioia e orgoglio di avercela fatta. Di essere entrato a far parte dell’elite. Un’elite di eroi di cui ha fatto parte fino alla fine, non arrendendosi e rifiutando di lasciare la sua città adottiva, pur avendo una possibilità di fuga garantita. Scegliendo piuttosto di cedere il suo posto a una ragazza sconosciuta, perché “qui ancora forse posso fare qualcosa per aiutare la mia gente. Lei (la ragazza, ndr), invece, deve salvarsi per raccontare al mondo cosa sta succedendo veramente in Afghanistan”. Shaker era così e mi mancheranno le nostre brevi ma intense chiacchierate notturne. Khodahafez, Rafiq!

Repubblica

 

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