Giornata europea – Stando ai dati ufficiali del 2020, in Unione Europea le vittime dell’attività criminale di reclutamento e trasporto di persone con la forza o la minaccia a scopo di sfruttamento (tratta) sono oltre 26mila.
Il 68% delle vittime sono donne e il 56% sul totale proviene da Paesi terzi. Si tratta di un fenomeno molto diffuso che nel 46% dei casi vede le vittime sottoposte a sfruttamento sessuale.
Le donne sono le più colpite dal fenomeno, soprattutto per lo sfruttamento a scopo sessuale
Il Progetto europeo WIN (Trafficked Women Integration), finanziato dal FAMI (Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione dell’Unione Europea) in due anni ha permesso a 57 donne in Italia, Spagna e Bulgaria di uscire dalla condizione di sfruttamento e riprendere in mano la propria vita grazie a 5 associazioni. Per l’Italia si tratta di Lule onlus ed Energheia Impresa Sociale, oltre al Fondo Provinciale Milanese per la Cooperazione Internazionale che è il capofila. In Spagna invece è stata coinvolta l’associazione ‘Amiga por los derechos humanos de las mujeres’ e in Bulgaria ‘Animus Association’.
L’ indipendenza economica come chiave per la libertà
“La finalità di questo progetto è il reinserimento socio economico di queste donne vittime di tratta” spiega Elisabetta Umidi, coordinatrice servizi integrazione di Lule “crediamo fortemente che l’indipendenza economica sia la chiave per l’inclusione sociale e lavorativa di ciascuna donna”. Le beneficiarie del progetto italiano sono tutte di origine nigeriana, di età media tra i 20 e i 30 anni, con un livello di istruzione basso (nella maggior parte dei casi non hanno terminato il ciclo scolastico). Vorrebbero trovare un lavoro. Sognano di diventare commesse, parrucchiere, magazziniere, oppure di lavorare nella ristorazione o negli hotel, ma anche potersi dedicare ai bambini o agli anziani come babysitter o badante.
Donne vittime di tratta spesso sono vittime di pregiudizio
“Il progetto”, racconta Giulia Ispano, tutor formazione e servizi al lavoro di Energheia, “prevede l’accompagnamento delle donne nel loro percorso di integrazione attraverso corsi di formazione e di lingua, un orientamento al mondo del lavoro, un supporto psicologico, legale ed educativo e di mediazione linguistico culturale”. Tra le criticità emerse durante il corso dei due anni di progetto, infatti, c’è la limitata conoscenza della lingua italiana, la mancanza di esperienza lavorativa pregressa e quella di competenze informatiche, cui si aggiungono i tanti bisogni psicologici. Le donne vittime di tratta vengono inoltre colpite da ostacoli e pregiudizi che si aggiungono all’insicurezza legata ai traumi già subiti e alle barriere culturali e religiose.
Situazione in Italia
Nel nostro Paese si stima che le donne vittime di tratta siano oltre 2mila. Stando ai dati del Numero Verde Anti Tratta, infatti, le donne prese in carico solo nel 2020 sono 2.040, di cui 265 solamente in Lombardia. Nel nostro Paese i risultati del progetto WIN sembrano promettenti: 13 donne su 15 di quelle coinvolte sono riuscite a ottenere un lavoro regolare (come badante, magazziniera, addetta alle pulizie) oppure uno stage retribuito (come cameriera, assistente in cucina, addetta alla preparazione e alla vendita in un fast food, addetta all’assemblaggio).
Situazione in Spagna e Bulgaria
In Spagna e Bulgaria la situazione è un po’ diversa, come diverse sono la provenienza (Africa, Sud America, Asia occidentale) e l’età delle donne vittime di tratta (più grandi e mediamente istruite). Questa differenza nei loro profili ha fatto registrare risultati leggermente inferiori in termini di inserimento lavorativo. In Spagna il 19% delle donne coinvolte dal progetto ha un lavoro e il 9,5% ha uno stage, mentre in Bulgaria il 24% di loro ha un lavoro.