Maria Grazia Cutuli: sono passati 20 anni dall’assassinio in Afghanistan dell’inviata del “Corriere della Sera”. Aveva compiuto 39 anni da meno di un mese (il 26 ottobre).
Innamorata del suo lavoro come dell’Afghanistan e di Kabul, venne uccisa in un agguato a Sarobi su un convoglio di giornalisti diretto da Jalalabad alla capitale afghana (città dove era voluta tornare nonostante i rischi, ha raccontato all’ “Antidiplomatico” il suo amico e collega Alberto Negri, per vent’anni corrispondente de “Il Sole 24 Ore” in Medio Oriente, Asia Centrale, Africa e Balcani). Con Maria Grazia Cutuli persero la vita anche l’inviato del quotidiano “El Mundo” Julio Fuentes e quelli della Reuters Harry Burton, australiano, ed Azizullah Haidari, afghano.
La Procura di Roma avviò un’indagine. All’epoca, si sottolineò, “gruppi di talebani, asserragliati su quelle montagne aggredivano e violentemente rapinavano tutti (e soltanto) i giornalisti occidentali che transitavano per quella strada che era la sola che portasse in Pakistan attraversando il distretto amministrativo di Sarobi”. Erano “azioni di guerriglia, volutamente dirette ed indirizzate solo a giornalisti stranieri” che “miravano a strumentalizzare i mezzi di informazione per convincere l’opinione pubblica occidentale che l’Afghanistan era assolutamente ingovernabile da parte di quelle forze di occupazione i cui Governi, invece, dichiaravano il contrario”. Anche la nostra giornalista ne fece le spese.
Poi iniziarono lunghi e accidentati procedimenti giudiziari: vennero assolti tre imputati, Fedai Mohammed Taher, Jan Miwa e Jan Mar. Un altro, invece, Reza Khan, 29 anni, venne condannato a morte nell’autunno del 2004, nonostante la contrarietà dei genitori di Maria Grazia Cutuli, e giustiziato mediante fucilazione nell’ottobre del 2007 a Kabul.
Il 29 novembre del 2017 la Corte d’Assise di Roma ha condannato a 24 anni di carcere altri due afghani pashtun, Mamur e Zan Jan. Stavano già scontando in Afghanistan l’uno 16 e 18 anni e ascoltarono in videconferenza la sentenza. Questa comprendeva un risarcimento alla famiglia di Maria Grazia e alla RCS di 250 mila euro in tutto. La condanna fu confermata in appello il 15 novembre del 2018.
La Procura aveva chiesto per gli imputati 30 anni di reclusione anche per rapina, dato che, con altri che non sono stati presi, rubarono una radio, un computer e di una macchina fotografica della giornalista italiana.
Oggi l’ha ricordata anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con un pensiero all’Afghanistan attuale. “Le recenti, dolorose vicende dell’Afghanistan – ha detto il capo dello Stato – ci hanno riportato alla mente e nel cuore il sacrificio di Maria Grazia Cutuli, il suo senso di giustizia, il suo credo nella libertà e nell’indipendenza dell’informazione. Il nostro Paese ha dato tanto per aiutare la crescita e per stabilizzare l’Afghanistan: quanto è stato fatto e testimoniato non andrà perso ma resterà come punto di ripartenza per un impegno di civiltà”.
Mattarella ha ricordato che Maria Grazia, il giorno prima di essere uccisa, aveva reso nota “la scoperta di tracce di gas nervino in una base abbandonata di Al Qaeda”. Inoltre “aveva attenzione per le parti più deboli della società e il suo sguardo non trascurava mai la condizione femminile. Quando già aveva iniziato l’attività giornalistica, collaborando con quotidiani e periodici, decise di partire come volontaria per il Ruanda con l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i diritti umani.” Per leggere anche il resto del discorso Mattarella ricorda Maria Grazia Cutuli: “Quanto fatto non andrà perso”. In suo onore sono stati istituiti tre premi giornalistici: uno a Milano, un altro internazionale nel paese d’origine della giornalista, Santa Venerina (Catania), in collaborazione con la Fondazione intitolata all’inviata del “Corriere” e un altro ancora a livello nazionale “Maria Grazia Cutuli-Per non dimenticare e per costruire la Pace”.