Maria Ressa: la giornalista dissidente filippina co-fondatrice di un sito di news chiamato “Rappler”, ha ricevuto oggi, venerdì 10 dicembre, ad Oslo, il Premio Nobel per la Pace. In questa occasione ha attaccato i colossi Internet Usa che hanno lanciato i social.
Infatti ritiene che abbiano consentito che l’avidità sostenesse “fanghi tossici”. Cosa intendeva? Maria Ressa non ha citato esplicitamente Facebook, Twitter e YouTube, per esempio, ma ha parlato di “società di Internet americane” che “hanno permesso a un virus di bugie di infettare ognuno di noi, mettendoci l’uno contro l’altro, facendo emergere le nostre paure, rabbia e odio, e ponendo le basi per l’ascesa di autoritari e dittatori in tutto il mondo”.
“Il nostro più grande bisogno oggi – ha proseguito la giornalista – è trasformare quell’odio e quella violenza, la melma tossica che scorre attraverso il nostro ecosistema di informazioni, la priorità delle società Internet americane che fanno più soldi diffondendo quell’odio e innescando il peggio in noi”. “Ciò che accade sui social media non rimane sui social media. La violenza online è la violenza del mondo reale”, ha detto ancora.
Ressa ha dichiarato che i fatti e la verità sono alla base delle più grandi sfide della società attuale. “Senza fatti, non c’è verità. Senza verità, non c’è fiducia. Senza fiducia, non abbiamo realtà condivisa, nessuna democrazia, e diventa impossibile affrontare i problemi esistenziali del nostro mondo: clima, coronavirus, battaglia per la verità”, ha spiegato.
Non era scontato che l’attivista potesse ritirare il Premio Nobel. Contro di lei ci sono ben sette cause nelle Filippine. Eventuali condanne potrebbero tenerla in cella fino a cento anni, ha denunciato.
Ora è fuori, ma in libertà vigilata. Deve ancora difendersi in appello dall’accusa di diffamazione, mossale l’anno scorso. Si è rivolta a ben quattro tribunali per avere di diritto di uscire dal Paese e ritirare il Nobel. Recentemente il permesso le è stato accordato.
Il prestigioso riconoscimento è stato tributato anche al giornalista russo Dmitrij Muratov. E’ il direttore del periodico “Novaja Gazeta”, lo stesso per cui lavorava Anna Politkovskaja, uccisa il 7 ottobre del 2006.