Si è parlato spesso di stragi di civili da parte dell’esercito americano in Medio Oriente. Ora il Pentagono le conferma e il “New York Times” ha pubblicato un rapporto, dopo aver esaminato gli archivi segreti.
Denuncia (scrivono “Il Messaggero“) migliaia di vittime, bambini inclusi, che non hanno mai ottenuto un riconoscimento ufficiale. Queste stragi sono state causate da oltre cinquantamila azioni militari, compiute molte volte senza sapere bene dove colpire; precipitosamente e con poca “competenza”. Talvolta è risultata assoluta la mancanza di conoscenza delle abitudini delle varie popolazioni (es. quando la gente era in casa e quando no in base alle festività religiose).
Sono i tragici risultati tra il 2014 e il 2018 in Siria e Iraq e includono anche l’Afghanistan. “Il New York Times” ha potuto avere accesso agli archivi per via di una legge che lo consente ai media.
Sono state lette 5.400 pagine con 1.311 segnalazioni. Ne sono state considerate “credibili” soltanto 216 tra queste, ritenendo “probabile” solo un caso di responsabilità personale; caso di responsabilità personale che però non è stato mai accertato. L’indagine ha portato il quotidiano della Grande Mela a disporre quasi cento sopralluoghi nelle zone colpite, soprattutto da bombardamenti aerei.
I civili hanno perso la vita in particolare durante azioni di terra e con droni invisibili. E’ avvenuto quando si è imposto il sedicente Stato Islamico al confine tra Siria e Iraq. Poche le famiglie risarcite, anche se in modo più cospicuo di quanto facciano altri Paesi coinvolti nelle stesse azioni. La speranza era quella di non far scatenare un putiferio.
Il rapporto del “New York Times” non è concluso. Intanto un portavoce del Pentagono (“US Central Command”), Bill Urban, ha ammesso i “danni collaterali”; ha assicurato che l’esercito sta cercando di migliorare la sua “macchina”: “Anche con la migliore tecnologia al mondo possono capitare errori – ha affermato il militare – Noi cerchiamo di imparare dagli sbagli commessi”. In attesa di eventuali riscontri, non possiamo non ricordare l’ammonimento di chi sostiene che non si possa esportare la democrazia