Dagli Stati Uniti arriva una notizia clamorosa proprio nel Giorno della Memoria: il “Diario di Anna Frank” è stato tradotto in persiano proprio Oltreoceano in una versione a fumetti. Lo ha riferito il quotidiano israeliano “Haaretez”, riportando le parole di Maziar Bahari, giornalista, regista e attivista canadese di origine iraniana.
E’ stato proprio lui, in collaborazione con il Museo memoriale dell’Olocausto degli Stati Uniti (Ushmm), a tradurre il diario dell’adolescente ebrea tedesca vittima – simbolo della Shoah. Bahari ha dichiarato che la sua intenzione è quella di combattere il negazionismo della Shoah portato avanti dal regime dei mullah.
Il “Diario di Anna Frank” fa parte di un progetto chiamato “Sardari”, pensato per divulgare in farsi anche altri documenti a fine didattico sullo stermino perpetrato dai nazifascisti, dato che i giovani iraniani lo conoscono poco per motivi politici.
Maziar Bahari, 54 anni, musulmano, nato in una famiglia di dissidenti anche all’epoca dello Shah, era stato detenuto nella famigerata prigione iraniana di Evin e torturato per 118 giorni con l’accusa di “spionaggio” (come molti iraniani con doppia cittadinanza) per aver partecipato alla famosa “Onda Verde” che, al grido di “Dov’è il mio voto?”, aveva denunciato brogli nella rielezione dell’ex presidente Mahmud Ahmadinejad nel 2009.
Ricordiamo che Ahmadinejad è noto per aver organizzato a Teheran una conferenza negazionista sulla Shoah nel 2006. Vi avevano partecipato persino alcuni rabbini (facevano parte del gruppo religioso ortodosso dei Neturei Karta, che in base ad una certa interpretazione della Torah e del Talmud, non riconoscono nemmeno Israele). Simili iniziative, nella Repubblica Islamica, sono poi continuate (vignette per rispondere a quelle di “Charlie Hebdo” su Maometto e così via).
Bahari aveva descritto il dramma del carcere in un libro pubblicato nel 2011. Nel frattempo era emigrato in Canada nel 1988, anno del massacro di dissidenti politici del quale è sospettato anche l’attuale presidente iraniano Ebrahim Raisi.
Nel 1993 l’attivista aveva preso la laurea Scienze della Comunicazione all’Università di Concordia a Montreal e poi aveva cominciato a girare film su temi socio-politici. E’ stato il primo regista musulmano a realizzare un film sulla Shoah.
La sua incarcerazione aveva scatenato numerose proteste internazionali. Era intervenuto anche l’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Attualmente Bahari vive a Londra con la moglie, Paola Gourley, e la figlia Marianna. Scrive e realizza documentari destinati ai media internazionali.