Jihadisti pentiti che tornano a uccidere una volta liberati

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Jihadisti pentiti che tornano a uccidere una volta liberati – Sono diversi i casi in cui alcuni giovani entrano in carcere per reati minori ed escono poi come soggetti radicalizzati. L’esempio di Salah Abdeslam, unico attentatore della strage del Bataclan del 2015 ad essere sopravvissuto, è quello forse più lampante. Rinchiuso in prigione nel 2010 in Belgio per piccoli reati, è qui che ha conosciuto Abdelhamid Abaaoud, futuro capo della cellula terrorista che ha colpito Parigi. Ed è stato lui a spingere Abdeslam all’Islam radicale. Oggi però c’è anche un altro genere di pericolo. E proviene da quei soggetti che fanno il percorso inverso. Terroristi cioè rimessi in libertà dopo un loro pentimento avvenuto in carcere. Un passo indietro però solo apparente: alcuni di loro, una volta usciti di galera, sono poi tornati a colpire.

Il pericolo dei falsi pentimenti

A spiegare meglio in fenomeno è stato Ian Acheson, ex funzionario del ministero della Giustizia britannico e consulente per diversi anni del governo di Sua Maestà proprio sul fenomeno dell’estremismo islamico nelle carceri. Intervistato dal Telegraph, Acheson non ha avuto dubbi: i miliziani jihadisti hanno iniziato a usare molto la psicologia. Anzi, in alcuni casi gli islamisti la studierebbero per poterla poi applicare in carcere durante i colloqui: “L’uso che fanno di quanto apprendono – ha spiegato ancora l’ex funzionario – è finalizzato a manipolare l’opera dei terapeuti delle carceri”. Durante i colloqui, molti terroristi hanno imparato le tattiche per apparire pentiti dei propri gesti e pronti a voler ricominciare all’esterno una vita da persone integrate. Alcuni di loro potrebbero mostrarsi collaborativi oppure tenere quei comportamenti che gli varrebbero la scarcerazione per “buona condotta”.

Ian Acheson ha analizzato il fenomeno in modo più approfondito in uno studio curato con l’analista politica Amanda Paul e pubblicato sull’European Policy Center. Nel documento la strategia jihadista di ingannare le autorità carcerarie è presentato come un elemento molto più diffuso di quanto si possa immaginare. Nel corso degli ultimi anni sarebbero sempre di più i falsi pentiti tra gli islamisti. Non solo nel Regno Unito, ma anche in Francia e nel resto d’Europa. Gli affiliati ai gruppi terroristici hanno imparato a conoscere bene le leggi nostrane che prevedono sconti di pena e scarcerazioni in determinate situazioni. Una volta appresi i cavilli a cui potersi attenere, riescono quindi a mettere in atto le strategie psicologiche per usufruire di tutti i vantaggi previsti dalle norme. Una beffa per i servizi di sicurezza del Vecchio Continente, ma anche un pericolo per la società. Perché una volta usciti, i terroristi sono poi di nuovi pronti a colpire.

Gli esempi più eclatanti

Il 2 novembre 2020 Vienna è stata sconvolta da un attacco jihadista. Quel giorno quattro civili sono stati uccisi per mano islamista. La polizia, dopo una lunga caccia all’uomo, è riuscita a scovare e a neutralizzare l’attentatore. Gli inquirenti, quando sono risaliti alla sua identità, hanno scoperto un’amara sorpresa. Kujtim Fejzulai, l’affiliato all’Isis autore della strage, era stato schedato tra i soggetti deradicalizzati. Arrestato nell’aprile del 2019 per la sua comprovata volontà di unirsi allo Stato Islamico, fermato poco prima della sua partenza per la Siria, Fejzulai era stato condannato a 22 mesi di reclusione. Ma la buona condotta del ragazzo, allora appena ventenne, e il suo pentimento mostrato in carcere, gli sono valse la libertà anticipata. Una volta fuori ha realizzato il peggiore attacco jihadista contro l’Austria.

Quanto accaduto a Vienna non è però l’unico esempio. Anche Usman Khan, autore di un’aggressione costata la vita a due persone a Londra nel 2019, era ritenuto non più pericoloso. Eppure nella sua “carriera” terroristica aveva alle spalle accuse di progetti volti a colpire la capitale inglese e ad uccidere nel 2010 l’allora sindaco Boris Johnson. Ma per le autorità Khan aveva oramai intrapreso un progetto di integrazione con la società. Bilal Taghi invece, autore di un tentativo di aggressione contro due agenti penitenziari nel 2016 in Francia, era stato segnalato per il suo buon comportamento all’interno della prigione in cui era detenuto. Per Ian Acheson la ricetta per evitare il ripetersi di casi del genere è molto semplice: prestare maggiore attenzione verso chi si professa pentito oppure continuare a monitorare i sospetti anche una volta tornati liberi.

Insideover

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