Israele ha un serio problema con una frangia di cittadini arabi radicalizzati – Due sanguinosi attentati in una settimana per mano di arabi israeliani richiedono particolare attenzione e provvedimenti speciali.
Violenze arabo-israeliane nelle città miste del paese durante la guerra con Hamas dello scorso anno hanno fatto scattare un campanello d’allarme; un allarme che ha continuato a risuonare per tutto l’anno mentre le violenze della criminalità comune martellavano le città arabe con decine di persone uccise da delinquenti che hanno facile accesso ad armi illegali. Quando la scorsa settimana un beduino israeliano di Hura, un insegnante che si identificava con lo Stato Islamico (Isis), ha scatenato la sua furia omicida a Beersheba, l’allarme è risuonato ancora più forte. E così di nuovo domenica sera, con l’atroce attacco terroristico a Hadera perpetrato da due arabi israeliani di Umm el-Fahm, anch’essi sotto l’influenza dell’Isis. È giunto il momento che tutti ascoltino e prestino attenzione a queste sirene d’allarme: Israele ha un problema.
Israele ha un problema con una frangia estremista della sua popolazione araba. Certo, è solo una frangia, poiché la stragrande maggioranza dei cittadini arabi israeliani è costituita da persone che rispettano la legge e che desiderano solo condurre la propria vita nella dignità e nel benessere. Le dure condanne degli ultimi due attentati terroristici pronunciate da leader arabo-israeliani locali e nazionali, come il capo del partito Ra’am Mansour Abbas, sono da accogliere, apprezzare e incoraggiare. Ma c’è sicuramente una frangia radicalizzata tra gli arabi israeliani che è avvelenata da un’ideologia islamista distruttiva e sanguinaria, e presenta un problema enorme che Israele deve affrontare meglio.
Il fatto che due gravi attentati nell’arco di una settimana siano stati perpetrati da arabi israeliani indica che in quella comunità vi sono tendenze e correnti sotterranee che non stanno attirando abbastanza l’attenzione dei servizi di intelligence e sicurezza. Se è vero che è difficile stanare in anticipo aggressori tipo “lupo solitario” come quello di Beersheba (anche se il terrorista avrebbe dovuto essere meglio sorvegliato a luce della sua passata detenzione proprio perché cercava di affiliarsi all’Isis), è altrettanto vero che i due terroristi che hanno perpetrato l’attacco di domenica a Hadera a quanto risulta sono stati aiutati e istigati da fanatici che la pensano come loro. Un terrorista “lupo solitario” munito di un’auto per investire e di un coltello per pugnalare può non lasciare tracce su carta o sui social network. Ma due terroristi muniti di armi da fuoco e di un migliaio di proiettili, e che sono stati fotografati prima di scatenare il terrore, lasciano certamente delle tracce e sono queste che dovrebbero essere seguite con più attenzione.
Sette dei nove attacchi terroristici perpetrati in Israele nel mese di marzo sono stati compiuti da arabi israeliani o arabi di Gerusalemme est dotati di carte d’identità israeliane. Anche l’attentato più letale prima della strage di Beersheba, vale a dire il deliberato investimento con un camion che nel 2017 uccise quattro soldati nel quartiere di Talpiot est di Gerusalemme, venne effettuato da un arabo di Gerusalemme est con documenti d’identità israeliani. Tutto ciò indica una tendenza molto preoccupante e pone enormi sfide ai servizi di sicurezza dal momento che alcune misure antiterrorismo normalmente utilizzate coi nemici esterni sono più difficili da applicare nei confronti di cittadini israeliani. Si pensi ad esempio allo spyware Pegasus di NSO. Il semplice sospetto ventilato all’inizio di quest’anno che possa essere stato utilizzato su cittadini israeliani ha suscitato un enorme clamore presso un’opinione pubblica che, comprensibilmente, considera in modo molto più indulgente l’uso dello stesso spyware contro sospetti terroristi stranieri. Analogamente, Israele dovrebbe perseguire le armi illegali nelle città arabe israeliane con la stessa determinazione, ed eventualmente gli stessi metodi, con cui le Forze di Difesa danno la caccia alle armi illegali in Cisgiordania: le armi a Umm el-Fahm possono essere letali quanto quelle a Jenin.
È tutta una questione di trovare il giusto equilibrio. Israele da lungo tempo rappresenta una sorta di laboratorio della necessità di bilanciare le libertà civili, da un lato, con l’imperativo di proteggere la vita dei cittadini dall’altro. Certo, libertà civili e privacy devono essere gelosamente salvaguardate, ma proteggere la vita delle persone è almeno altrettanto importante. A volte può essere necessario fare dei sacrifici sul versante dei diritti personali pur di rintracciare i terroristi e coloro che sono collegati a organizzazioni come l’Isis, a condizione che vengano messi in atto tutti i controlli e i contrappesi necessari per garantire che di questa prerogativa non venga fatto abuso. Impedire che l’attuale aumento degli attacchi terroristici si trasformi in una vera e propria ondata di terrorismo sostenuta da frange di arabi israeliani potrebbe essere una di quelle volte.