Di Souad Sbai
Qatar, i Mondiali nel Paese degli orrori – Il Qatar sarà la sede dei prossimi Mondiali 2022, ma oltre alle inchieste sulle tangenti ai vertici della Fifa e della Uefa, c’è da dire molto anche sulla natura interna di quel regime. Con un emiro che sviluppa un culto della personalità, repressione dei media e del dissenso e sfruttamento dei lavoratori stranieri che costruiscono gli stadi.
L’attenzione internazionale sul Qatar per i misfatti compiuti dagli emiri Al Thani e i loro congiunti continua a crescere esponenzialmente. Nel giro di una settimana, sono infatti piovute alla corte di Doha nuove gravi accuse di violazioni dei diritti umani e corruzione. A cominciare è stato l’Economist, che ha dedicato un ampio servizio alla repressione dell’opposizione interna.
Nel regime di Al Jazeera, nota la celebre rivista, la libertà d’espressione e di stampa è in vigore solo quando si tratta di criticare altri paesi. D’altro canto, giornalisti, accademici e intellettuali perdono il lavoro e vengono arrestati se osano criticare il regime. Consapevole che la pentola del dissenso è più che mai in ebollizione, l’emiro Tamim sta tappezzando ogni angolo del Qatar con sue raffigurazioni come fosse un novello Saddam Hussein, dice l’Economist, pensando in tal modo di rafforzare la presa sul Paese. Ma Tamim sa anche che l’ubiquità della propria immagine non è in grado di placare l’esasperazione nei confronti delle politiche attuate prima dal padre Hamad e da lui fedelmente proseguite, che hanno trasformato il piccolo emirato in uno “stato canaglia” esportatore di caos ed estremismo.
Il Qatar non è infatti un blocco omogeneo, poiché sono in molti a deprecare il sostegno che gli Al Thani continuano a garantire all’internazionale fondamentalista dei Fratelli Musulmani e alle milizie islamiste in Siria e Libia, in stretta collaborazione con la Turchia dell’alleato Erdogan. Guai però a esprimere apertamente la propria contrarietà. “Abbiamo tutti paura”, ha dichiarato all’Economist l’ex ministro della giustizia Najeeb Al Naimi: “Se parli ti tolgono il passaporto e ogni proprietà”.
Alla sentenza di condanna dell’autorevole magazine britannico, ha fatto il paio il rappresentante speciale per i diritti umani dell’Unione Europea, Eamon Gilmore, che si è detto preoccupato per gli effetti sulla “libertà di espressione e di stampa” dei provvedimenti sulla “lesa maestà” di recente introdotti da Tamim, richiedendo espressamente che vengano “rivisti, cambiati o ritirati”. Il dettato delle norme, ha precisato Gilmore, “è formulato in maniera vaga”, poiché non definisce compiutamente cosa s’intende per “falsa informazione” e lascia un eccessivo margine di discrezionalità all’autorità giudiziaria, ovvero allo stesso Tamim, nel giudicare se una qualunque affermazione sia offensiva verso coloro che governano il paese. Eccessiva discrezionalità è lasciata ai giudici anche nel “dimostrare le cattive intenzioni” di un condannato per reato di diffamazione su Internet, che fanno scattare una maggiorazione della pena fino a cinque anni, dai tre previsti nella legge del 2014. Gilmore ha sollevato il caso presso il Ministero degli Esteri e il Comitato nazionale per i diritti umani del Qatar, ma s’illude se pensa di ottenere un cambio di rotta delle politiche di Doha, solita fare promesse di cambiamento che non si avverano mai.
Sul fronte delle migliaia di lavoratori stranieri sfruttati nella costruzione degli stadi per i Mondiali di calcio del 2022, Human Rights Watch ha denunciato nuovamente come questi continuino a non ricevere il pagamento del salario da parte delle imprese legate direttamente agli emiri Al Thani. Inoltre, le condizioni igieniche nelle quali vivono come moderni schiavi reclusi in compound restano inumane. Minacce, soprusi (tra cui il ritiro del passaporto per non consentir loro di lasciare il paese), pestaggi e l’arresto come prezzo da pagare per scioperi e proteste: tutto è come prima, com’è sempre stato.
In ordine cronologico, l’ultima scarica di accuse rivolte al Qatar è giunta ieri dalla Svizzera, dove il presidente del canale televisivo panarabo beIN, Nasser Al Khelaifi, cugino di Tamim nonché presidente della squadra di calcio del Paris St. Germain, è stato incriminato per corruzione insieme all’ex numero due della Fifa, Jerome Valcke. A ben vedere, nulla di nuovo, trattandosi di un approfondimento di precedenti inchieste per tangenti nell’assegnazione dei Mondiali 2022, che hanno già travolto beIN insieme agli ex numeri uno della Fifa, Joseph Blatter, e dell’Uefa, Michel Platini, lambendo persino l’ex presidente della Francia, Nicolas Sarkozy. Valcke, che della Fifa era segretario generale prima della sospensione per 10 anni a causa di altri fatti di corruzione, avrebbe ricevuto la somma di 1 milione e 250 mila euro, versati in più rate sul conto di una sua società da parte di un terzo uomo legato ad Al Khelaifi, che a sua volta avrebbe anche concesso a Valcke una villa in Sardegna in usufrutto per 18 mesi.
Quella del Qatar è un’anomalia senza precedenti nel libro nero della storia. I richiami delle organizzazioni internazionali e le inchieste giudiziarie non bastano: per ottenere risultati concreti occorre una forte pressione nei confronti di Doha, soprattutto da parte occidentale, sulla scia dell’embargo e dell’isolamento diplomatico messi in atto dal Quartetto arabo anti-terrorismo. La condotta da “stato canaglia” degli emiri Al Thani, altrimenti, resterà invariata.
Pubblicato il 22-02-2020