Italia – L’articolo 53 della costituzione italiana enuncia “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità retributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. In un paese democratico che si rispetti, questo principio troverebbe applicazione. L’Italia però, è un paese sui generis sotto questo profilo. Sfugge alle volte a tali dinamiche. Occorre quindi fare un’analisi della proposta e di tutte le realtà presenti nel panorama economico sociale, per carpirne gli aspetti fallaci.
Secondo il recente rapporto Eurostat, il divario tra ricchi e poveri è aumentato di sei unità. Divario che si dilata mettendo a paragone nord e sud, dove si consta un aumento sino alle 7,4 unità. I dati di riferimento sono del 2018, precedentemente all’introduzione del reddito di cittadinanza. Il reddito di cittadinanza è stata la misura per far fronte a tali aspetti negativi, in nome di uguaglianza sociale ideale ed inevitabilmente irrealizzabile. Sintomo è il numero di frodi riscontrate a seguito della sua introduzione. Una soluzione che seppur prevista con le migliori intenzioni, sul piano applicativo perde cognizione di causa.
E se la risoluzione dei mali del mondo prevista nel 2018 fu il reddito di cittadinanza, ecco che a seguito della crisi generata dalla Pandemia torna sulla bocca di tutti la patrimoniale. Argomento ostico anche al più luminare dell’economia ma che è strumentalizzato dalle
maggioranze per aizzare folle in nome di un bene comune effimero e incutere terrore ai potenti. La proposta mossa da Orfini (pd) e Frantoianni (Leu) a dicembre 2020, che ne prevede l’introduzione, ha riacceso il forte dibattito dividendo l’opinione pubblica in sostenitori e contrari. Tale proposta fu poi avvallata dal premier Conte stesso, provocando anche un allontanamento stesso del Pd dal suo proponente.
L’analisi che segue non verterà sull’esser a favore o meno, bensì se esistano presupposti che possano renderla effettivamente una soluzione alle criticità già presenti. Errare humanum est, perseverare autem diabolicum. La storia insegna, per cui uno dei primi timori è che ci si possa trovar di fronte ad un Governo Amato 2.0
La patrimoniale è un’imposta sul patrimonio, che colpisce beni mobili e immobili. é rivolta sia a persone fisiche che giuridiche. Può esser fissa, versata cioè da tutti i contribuenti senza distinzione di patrimonio, o variabile, ossia con un principio di proporzionalità. Può essere inoltre straordinaria, applicata solo una volta, o periodica.
La proposta, nonostante non abbia trovato i consensi nella maggioranza, continua ad essere un jolly da estrarre dal cilindro in tempi di crisi. Alla luce dell’incertezza del Recovery Found e del debito pubblico che raggiunge il 150%, non trovando investitori stranieri che possano comprare i nostri titoli, ci si rimbocca le maniche tentando soluzioni dall’interno. Non considerando però alcuni dati sostanziali.
La Pressione fiscale:
-l’Italia, nella classifica del Paying Taxes 2020 si trova al 128esimo posto, a causa della dilatazione dei tempi di adempimenti fiscali e per verifiche sociali. È al settimo posto Europeo con il 41% di pressione fiscale.
La pressione sulle famiglie è di circa il 18%, dati offerti dalla fondazione nazionale dei commercialisti a seguito di una loro analisi dati Istat del 2019. Molto più notevoli le pressioni alle imprese, dove raggiungiamo il 59%.
Gli Aspetti Sociali:
Le numerose truffe relative all’illegittima assegnazione del reddito di cittadinanza è un punto su cui far riflettere. L’InL scova solo a marzo dello scorso anno 599 titolari illeciti. Era perciò doveroso citare sopra il nostro 128esimo posto nella classifica Paying Taxes 2020. Tale posizione deriva da prassi burocratiche che incentivano evasioni e truffe ai danni dello stesso stato, che non riesce a distruggere il dualismo del potere coercitivo e le politiche di controllo per l’effettiva esecuzione di esso. Si innesca un circolo vizioso dove la causa produce la soluzione e viceversa. Sul piano applicativo si perdono opportunità di investimenti di lavoro autentici, entrando nell’illegalità più pura. Illegalità che sfiora il 12% del PIL nazionale. Cavalcando l’onda, citiamo anche i danni allo stato perpetrati da pensioni farlocche riconosciute dall’Inps. Qui lo scenario si fa ancora più interessante, vista la maxi indagine del 2016 a 6 loro dirigenti, a seguito di incentivi erogati da prestazioni e truffe scoperte, risultate poi fittizie. La truffa nella truffa, poesia.
Il lavoro in nero in Italia raggiunge invece il 4,5% del PIL, circa 79 miliardi secondo Istat. Parliamo di lavoratori senza alcuna tutela. Fantasmi dei sistemi fiscali e contributivi. Non vi sono tracce che documentano il fenomeno in nessun registro di Pubblica Amministrazione. Per cui alcuni di essi magari, percepiranno anche il reddito di cittadinanza, arrivando a fine mese con una grande disponibilità nel saldo contabile. Altri invece, muniti di altra indole, vorrebbero mettersi in regola sperando che tale reddito possa aiutarli a porre basi solide per la ricerca di una posizione migliore. Ma, timorati del cambiamento, permangono nell’ombra.
L’analisi svolta comporta una necessaria riflessione. Questo non è un paese per vecchi. Ne per giovani, ne per adulti realizzati. Questo non è un paese civile. Non è un paese che rispetta l’articolo 53 della propria costituzione. È bensì un paese che sul piano applicativo, rende una norma che dovrebbe essere erga omnes, inter partes. È il paese in cui ad ogni crisi si tenta una manovra tappabuchi sperando di risollevare anni di catastrofi generate non prendendo in considerazione il reale bacino di consociati. Ma chi di speranza vive, disperato muore. È il paese dove si tenta di dividere gli aspetti economici da quelli sociali, mentre il diritto civile moderno, ci insegna che ogni causa contrattuale che si rispetti è definita come la funzione economica-sociale. Il nesso sembra oscuro alla maggioranza, eppure è così ben definito. È naturale pensare che ogni scelta fatta per i consociati debba rispecchiare tutti i consociati. Considerando ogni realtà, ogni sfaccettatura. Anche gli aspetti sociali. Solo così si può raggiungere un equilibrio.
La proposta di patrimoniale può trovare applicazione? Alla luce di questa analisi no. Perlomeno non con i termini previsti fino ad ora. Perché per prevederla, bisogna essere al corrente di tutte le realtà presenti nel territorio. Viste le numerose truffe allo stato, possiamo già capire quanti redditi inesatti siano stati rilevati. Considerando poi che l’Italia non è un paese con burocrazie di verifiche sociali efficienti, sarebbe fallace sotto ogni aspetto. Questi aspetti non rendono applicabile la proposta ai fini del principio di proporzionalità. Come si può proporre tale imposta se non si hanno dati certi alla base sul piano applicativo? Si genererà ancora più sfiducia nelle istituzioni, malcontento e allontanamento dall’attivismo politico. Componenti che inficiano sullo stato di diritto.
Per cui, la patrimoniale forse non è il rimedio ai mali del mondo. Si dovrebbe considerare di introdurre forse un po’ di civiltà in più. Siamo dinanzi ad un fenomeno grottesco, assistiamo inermi all’implosione del diritto positivo e delle burocrazie sussidiarie, sempre più spesso non rappresentanti la realtà sovrana. Occorre risorgere da queste ceneri, ricordando le regole basi della società civile. Dove uno stato non dovrebbe esser costretto a misure drastiche per controllare che i propri cittadini non inficino con dichiarazioni illegittime. Dove i consociati pensino un po’ meno al proprio orto personale, creando un prato collettivo per far sbocciare le migliori opportunità e una primavera di diritti e obblighi equilibrati. Senza che nessuno leda terzi.
di Sara Ragni