Ulisse senza Penelope
Le retoriche più diffuse per rappresentare lo status del “non-cittadino”, sia esso immigrato, rifugiato o richiedente asilo, tendono a nascondere gli aspetti che riguardano la principale causa del fenomeno dei flussi migratori, ovvero, la profonda disuguaglianza tra i Paesi del Nord e Sud del mondo.
Le persone disperate che vivono in condizioni di estrema povertà e che fuggono da guerre, violenze e carestie, dovrebbero farci riflettere sulle rinnovate disuguaglianze sociali ed economiche e sui problemi strutturali derivanti da tali disparità. Invece di farci assalire da pensieri e sentimenti di indifferenza e a volte di razzismo, dovremmo riconsiderare la storia delle relazioni che lega i Paesi ricchi con molti Paesi africani. Partendo dalla considerazione che “quella umana sia una specie migratoria”, la condizione di migrante va inscritta nel complesso delle mutazioni storiche, sociali ed economiche che stanno caratterizzando gli ultimi decenni. Il nuovo ed emergente paradigma della mobilità umana non si basa soltanto sull’immediatezza degli spostamenti, bensì su una nuova percezione del globo e sulla strutturazione di un reticolo fitto di interazioni digitali.
La rete costituita dalla comunicazione via web proietta i soggetti in una dimensione in cui, non solo gli spostamenti sono rapidi e non definitivi, ma la barriera dell’ignoto con la quale storicamente si doveva scontrare chi decideva di partire è stata abbattuta. I flussi migratori dipendono soprattutto da due fattori: i fattori di espulsione e i fattori di attrazione. I primi sono relativi al luogo di partenza o di provenienza e vengono considerati svantaggiosi dalle persone. I secondi, invece, sono relativi ai luoghi di approdo, attrattivi e vantaggiosi. Un fattore di espulsione è rappresentato dal fenomeno del land grabbing, ovvero, l’accaparramento dei terreni da parte di investitori privati e pubblici a discapito di umili contadini che non possono più contare sui raccolti. Riflettendo attentamente sulle cause delle migrazioni, emerge l’immagine dell’essere umano migrante, come quella di un individuo discriminato, privato in molti casi dei diritti
fondamentali di cui godono i cittadini che hanno avuto la fortuna di nascere nella parte ricca del pianeta. In questo scenario desolante le condizioni di sfruttamento alle quali milioni di migranti sono costretti non possono nascondere il lato oscuro di questi processi, quello della tratta degli esseri umani, ovvero il peso morale del capitalismo sfrenato e dell’indifferenza. “Nulla è più scandaloso quanto gli stracci e nessun crimine è vergognoso quanto la povertà”. Sono queste parole di George Farquar a rendere bene l’idea sul significato delle condizioni di vita di milioni di persone.
La Banca Mondiale stima che 2,5 miliardi di persone vivono con un reddito inferiore ai due dollari al giorno e più di un miliardo con meno di 1 dollaro al giorno. Circa 600 milioni sono bambini. Quali altri dati servono per comprendere i reali motivi che spingono milioni di persone ad intraprendere i viaggi della speranza? Basterebbe avviare concrete riflessioni per comprendere la naturale reazione delle popolazioni sempre più vittime di saccheggi e deprivazioni. Basterebbe ragionare e agire seriamente per una più equa ridistribuzione delle ricchezze. Non dovrebbe essere il conto in banca a decidere se un essere umano possa mangiare sei volte al giorno oppure una volta ogni sei giorni. Non dovrebbe essere il miraggio del benessere a costringere milioni di bambini, donne e uomini a spostarsi da un luogo a un altro. Non dovrebbero esistere milioni di Ulisse senza nessuna Penelope ad aspettare.