La destra moderna che serve al Paese – Fratelli d’Italia potrebbe rappresentare l’ala che nella seconda Repubblica non c’è mai stata
Oggi Fratelli d’Italia si trova in un certo senso nella stessa situazione dei 5 Stelle nel 2013. Questi ultimi, attestati allora su un clamoroso risultato elettorale del 25 per cento ma restati fuori da ogni combinazione ministeriale e via via accreditati negli anni seguenti di una continua crescita di voti (infatti ottennero oltre il 32 per cento nel 2018), invece di impiegare i cinque anni d’intervallo per liberarsi dei sommari enunciati demagogici dei loro inizi, per familiarizzarsi con i problemi della realtà effettiva e non già di quella fantasticata, invece di rinnovarsi in vista dei futuri compiti, i 5 Stelle, dicevo, invece di tutto ciò continuarono a gingillarsi nel nulla preparando così la propria rovina. La natura e la vicenda di FdI sono del tutto diverse, naturalmente, ma anche essi sono accreditati da tempo di una futura avanzata elettorale che potrebbe tradursi domani in un importante ruolo di governo; e anch’essi quindi avrebbero bisogno di darsi una veste ben più convincente di quella sommaria e prevedibile, sempre tentata da toni d’opposizione a prescindere e talora schiettamente reazionari.
La Destra italiana del ventunesimo secolo si divide tra il populismo arrabbiato della Lega e il vaporoso liberalismo di Forza Italia, mai capace di precisarsi in qualcosa di più consistente. Poi c’è Fratelli d’Italia. Non credo che lo si possa più considerare un partito neofascista, pur se esso viene da territori della storia che portano quel nome.
Al massimo la sua lontana origine si manifesta oggi in una postura difensiva contro le smargiassate dell’antifascismo di professione. Quanto invece al suo rispetto delle regole della democrazia fissate dalla Costituzione, mi sembra che non possano esserci dubbi. Certo, della Carta costituzionale Fratelli d’Italia non condivide il pervasivo afflato progressista, ma fino a prova contraria quell’afflato non lo condividevano neppure uomini come Malagodi o, mettiamo, Salvemini: il primo a causa del suo liberalismo duro e puro, il secondo per via del dissacrante realismo che non cessò mai di animarlo. Ma possono essere considerati per questo antidemocratici? In realtà quanto è racchiuso in molti dei cosiddetti «valori costituzionali» è cosa diversa dalla democrazia: è la democrazia come ideologia, che può essere condivisa o no senza che per questo si diventi dei nemici delle sue regole. Come accade infatti a un gran numero di partiti conservatori europei.
Fratelli d’Italia potrebbe legittimamente aspirare a rappresentare in Italia, per l’appunto, quella destra conservatrice che nella seconda Repubblica non c’è mai stata. Una destra conservatrice assai diversa dal passato, quando a essere conservatori erano innanzi tutto le élite sociali e i grandi interessi economici, oggi passati invece in tutt’altro campo. Anche se in ogni caso l’anima di una destra conservatrice non potrebbe essere rappresentata pure oggi che da una forte cultura nazional-istituzionale centrata sulla dimensione dello Stato. Tra l’altro proprio una cultura siffatta servirebbe a distinguere nettamente tale destra vuoi dal populismo leghista e dal suo empito plebiscitario sempre insofferente di qualsiasi regola, vuoi dal permissivismo del laissez-faire a sfondo individualista di quel che rimane del liberalismo di Forza Italia.
Quando si parla di Stato nazionale i conservatori odierni non dovrebbero certo pensare a nulla che ricordi il nazionalismo di un tempo, la sua boria e le sue imprese. Dovrebbero invece pensare lo Stato nazionale e le sue istituzioni (quindi anche il suo importante «risvolto» europeo) come lo strumento principe, di fatto l’unico a disposizione, in vista di due obiettivi di cui le nostre società sempre più avvertono l’urgenza: lo sviluppo della coesione e della solidarietà sociali e il contenimento degli effetti della globalizzazione. Contro l’ideologia e la prassi deregolatrice di quest’ultima, contro le sue molteplici conseguenze distruttive dalle quali le élite tradizionali sembrano fin qui incapaci di dissociarsi, solo lo Stato ha il potere e la legittimazione necessarie per dettare regole limitatrici. Non già, come si capisce, al fine di attuare improbabili propositi socialisteggianti, ma perché tutto lascia credere che ancora una volta come in altre circostanze storiche il capitalismo oggi vada salvato innanzi tutto da se stesso — a cominciare dalla sua suicida deriva finanziaria — e i capitalisti dalla pressione dei loro interessi immediati. Oggi torna ad avere un particolare suono di verità l’ammonimento di Adam Smith secondo il quale «il saggio del profitto è sempre ai suoi livelli massimi nei Paesi che precipitano verso la rovina». La preminenza cieca data sempre al puro interesse materiale — al profitto, al reddito e ai consumi — così come il mantra contro le tasse caro a tutta la destra tradizionale hanno spesso effetti distruttivi sulla vita concreta di una comunità. È meglio una forte pressione fiscale piuttosto che rinunciare a una sanità decente.
Ho già detto che ciò che i moderni conservatori dovrebbero sentirsi chiamati a conservare principalmente sono la coesione sociale e il principio di solidarietà che ne costituisce il retroterra ideale: cioè i due pilastri di ogni «buona società» e del benessere delle persone. Coesione e solidarietà sono sempre stati cari anche alla sinistra, è vero, ma via via che questa è divenuta sinistra di governo essa ha finito per concepire entrambe sempre di più in una dimensione puramente assistenzial-monetaria, staccando entrambe dalle loro radici nella cultura della tradizione. Nel momento perciò in cui la sinistra rinuncia alla sua anima social-popolare per abbracciare qualsivoglia esigenza della modernità, per identificarsi sempre con la ragione strumentale tecno-scientifica, per aderire al democraticismo universalistico del mainstream socio-culturale e al suo sforzo di allargare la sfera di ogni libertà individuale delegittimando qualsiasi vincolo che si opponga ad essa, in un tale momento storico una destra conservatrice dovrebbe muoversi in senso decisamente anche se cautamente contrario. Curando di non operare in alcun modo in senso liberticida, naturalmente, ma puntando a rafforzare tutto quanto avvicina le persone, tutto quanto le aiuta a rendere stabili e psicologicamente sicure le loro relazioni, a farle sentire parti vive di insiemi più vasti. Quindi ad esempio proteggendo ogni loro forma d’unione (non necessariamente solo quelle tradizionali) e la maternità naturale, proteggendo il lavoro dipendente — e perciò stesso anche la forza contrattuale dei sindacati e la loro presenza aggregativa sui luoghi di lavoro — curando gli argini che si oppongono alla disgregazione culturale e dunque favorendo il senso della tradizione, la conoscenza del passato, l’uso della scrittura, la conservazione degli ambienti urbani abitativi e dei paesaggi, il valore della dimensione religiosa al di là di ogni confessionalismo; infine favorendo un sistema d’istruzione capace di tener conto di queste scelte e al tempo stesso in grado di costituire un effettivo ascensore sociale: sia grazie a un largo sistema di borse di studio sia esercitando un efficace monitoraggio dell’evasione e della dispersione scolastiche.
Sono consapevole io per primo che ipotizzare che possa nascere nel nostro Paese una destra del genere, e ancora di più che possa essere Fratelli d’Italia a darle vita, richiede un livello altissimo di immaginazione (e anche di ottimismo). Ma per chi in Italia ama ragionare di politica non ci sono alternative: o commentare sia pure nel modo più intelligente e profondo una quotidianità politica sempre alquanto misera e grigia, oppure ogni tanto concedersi un’escursione nei territori dell’utopia. Come per l’appunto è stato fatto nelle righe che avete appena letto.