Magistratura – Oggi i magistrati scioperano contro la legge Cartabia perché colpirebbe l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Falso
Oggi sono chiusi i parrucchieri e i tribunali. Pensavo di leggerne qualcosa sul giornalone che da sempre leggo, ma non ne ho trovato traccia. No, non dei parrucchieri chiusi: dico dei tribunali chiusi, perché uno sciopero di 24 ore dei magistrati, inquirenti e giudicanti, contro le legge Cartabia passata alla Camera e ora al vaglio del Senato, sarebbe pure una notizia. Niente. In cronaca c’erano “seguiti” sulle molestie alle donne durante la manifestazione degli alpini e “seguiti” sulle molestie (involontarie) da flatulenza ed eruttazione subite da una giornalista Rai dall’incontinente compagno di scrivania. Così va a volte l’informazione: un novello Severino Cicerchia (lo scoreggione del Ragazzo di campagna) ottiene più spazio di un Giuseppe Santalucia, presidente dell’Associazione nazionale magistrati (Anm), il sindacato unico delle toghe italiane, che ha indetto lo sciopero.
Azzardo una spiegazione. Uno sciopero, adesso, dei magistrati, non desta il consenso della gente, anzi: parlarne bene potrebbe non giovare alle vendite. È noto che la fiducia della gente nella magistrature è crollata: dal 68% del 2010 al 39% dello scorso anno. L’affare Palamara ha poi scoperchiato un sommerso di lotte correntizie di potere assi poco edificante. D’altra parte, parlarne male darebbe fastidio ai signori delle toghe. Il che non è mai prudente. Quindi questa storia meglio “tenerla bassa”, o anche ignorarla, per ora. Anche perché non si sa se lo sciopero avrà successo o se sarà un boomerang.
Comunque sia, questo sciopero è un fatto estremamente importante che merita di essere conosciuto e giudicato.
Quella che il sindacato dei magistrati contesta è la terza di una triade di leggi. Due di queste sono state approvate e sono in vigore. Riguardano il processo penale e la giustizia riparativa (134/2021) e civile (206/2021) ed hanno l’intento di aumentare il grado di efficienza della giustizia e di abbreviare i tempi dei processi. Più lenta di noi, in Europa, solo la Grecia, e infatti per due volte la Commissione europea ci ha tirato le orecchie – con le Country Specific Recommendations del 2019 e del 2020 – invitandoci a darci una mossa. Con interventi – appunto il pacchetto Cartabia – che sono condizioni necessarie per poter usufruire dei fondi europei legati al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).
Il terzo di questi interventi è appunto la legge di riforma dell’ordinamento giudiziario e del sistema di elezione del Csm (Consiglio superiore della magistratura, l’organo di autogoverno dei magistrati). L’Anm ha proclamato lo sciopero perché contraria soprattutto alla separazione delle funzioni (non delle carriere) tra pubblici ministeri e giudici e al “fascicolo” per la valutazione del magistrato. Dicono che così si lede l’autonomia e l’indipendenza della magistratura; alcuni meno compassati che si tratta di una punizione, di una vendetta dei politici per l’azione svolta con Mani Pulite.
Qui non intendiamo addentrarci in un giudizio di merito sui contenuti della legge. L’accusa di lesione dell’autonomia non regge, perché essa riguarda lo svolgimento dell’azione giudiziaria, non la formulazione della legge. Detto grossolanamente: i magistrati non hanno il potere di farsi le leggi (non per causa della Cartabia, ma di Montesquieu – che ha ben teorizzato la divisione dei poteri – e del conseguente superamento delle monarchie assolute). L’accusa di punizioni o vendette è palesemente polemica, gratuita e senza fondamento. Magistrati di spicco sono stati ascoltati in commissione e l’Anm ha avuto non una ma sette udienze in cui far presente i suoi punti di vista, alcuni dei quali sono stati recepiti nel testo. Ma un potere dello Stato (di questo si tratta, in questo caso, non di una categoria di lavoratori come i chimici o i metalmeccanici) non può cercare di condizionare un altro potere, in questo caso il Parlamento, nell’esercizio della sua funzione legislativa.
Voci autorevoli, anche di magistrati, si sono levate contro lo sciopero. Alcuni lo ritengono inefficace, altri inopportuno. Altri addirittura illegittimo. Di sicuro si fa un uso improprio di uno strumento, lo sciopero, che è un diritto nell’ambito dei problemi economici e delle condizioni di lavoro, non nell’ambito della lotta ideologica e politica.
Ma più che un verdetto giuridico di legittimità, io credo che interessi una valutazione per così dire culturale ed etica. Oggi è evidente la drammatica necessità di concorrere tutti – a partire dalle classi dirigenti – al bene comune, alla ripresa di fiducia nelle istituzioni e alla passione per rinvigorire le democrazia sussidiaria e liberale. Una società si rinsalda e cresce ordinata attorno a un sano fattore di autorità. Esso è sostenuto dall’equilibrio di poteri distinti e autonomi, che nella distinzione e nel reciproco riconoscimento trovano la propria funzionalità al tutto e il limite a un proprio strapotere, o pre-potenza. Ora, che un potere dello Stato si metta contro un altro potere dello Stato, egualmente autonomo e indipendente, quale è il Parlamento, è un danno che si reca a quel fattore “autorità” fondamentale per la vita del popolo.