Strage di Capaci 30 anni dopo, il lavoro “demolito” di Falcone e Borsellino

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Strage di Capaci 30 anni dopo, il lavoro “demolito” di Falcone e Borsellino – Il 23 maggio è il 30° anniversario della strage di Capaci che colpì Giovanni Falcone (con la moglie Francesca Morvillo e con i ragazzi della scorta, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani). Neanche due mesi dopo, il 19 luglio, in via d’Amelio la mafia sterminava Paolo Borsellino e quanti erano con lui (Agostino Catalano, Vincenzo Limuli, Walter Cosina, Claudio Traina ed Emanuela Loi). È dopo le due stragi che ho chiesto al CSM di essere trasferito da Torino a Palermo a capo della Procura.

Falcone e Borsellino erano stati la punta di diamante del pool antimafia di Palermo, creato da Rocco Chinnici – vittima di un’autobomba mafiosa – e perfezionato da Nino Caponnetto. Vado spesso (e sempre volentieri) nelle scuole a parlare ai ragazzi di legalità, mafia e antimafia. Inevitabilmente il discorso cade su Falcone e sul “maxi processo”, il capolavoro investigativo-giudiziario del pool che ha posto fine al mito dell’invulnerabilità di Cosa nostra,  rendendo al nostro Paese – ed era la prima volta in assoluto – un incommensurabile servizio: dimostrare coi fatti che la mafia può essere sconfitta.

Conclusa la storia del “maxi”, di solito improvviso un piccolo esperimento. Individuato uno studente, gli chiedo che cosa secondo lui fosse successo dopo.  Immancabilmente colgo uno sguardo piuttosto incredulo e sconcertato, tipo “che cosa vuole questo qui da me con una domanda così sciocca?”. Perché la risposta sembra scontata. Difatti il ragazzo, sollecitato, puntualmente finisce per dire: se Falcone e gli altri stavano sconfiggendo la mafia nell’interesse del Paese, cosa caspita mai può essere successo? Di sicuro li hanno aiutati ad andare avanti! E allora mi tocca dire allo studente che sì, ha risposto bene secondo logica e buon senso, ma per la realtà storica ha sbagliato.

Perché Falcone e gli altri del pool, invece di essere sostenuti, professionalmente parlando furono presi a calci. Il loro metodo di lavoro –  vincente! – fu demolito a picconate contro i magistrati, contro i “pentiti” e contro il “maxi”. Una tempesta di fango e di calunnie: i magistrati sono accusati di “maccartismo” o di “collateralismo con i comunisti”; i pentiti sono “avanzi di cosca”, “arnesi processuali di epoche lontane e oscure”; il maxi e gli altri processi sono “messinscene dimostrative, destinate a polverizzarsi sotto i colpi di quel poco che è rimasto dello stato di diritto”, “montature allestite dai registi del grande spettacolo della lotta alla mafia”. Così, la guerra contro la mafia, che si sarebbe potuta vincere, qualcuno preferì perderla.

Per far capire ai ragazzi questo “suicidio”, spiego che il pianeta mafia si compone della struttura militare e delle cosiddette relazioni esterne con pezzi della politica, dell’economia e delle istituzioni. Combattere davvero la mafia significa intervenire sull’uno e sull’altro versante; anche perché le relazioni esterne sono la vera spina dorsale e al tempo stesso la corazza protettiva dell’organizzazione criminale. Aggiungo che Falcone e gli altri giudici del pool non appartenevano alla categoria degli “scaltri” che non vedono le cose scomode o si voltano da un’altra parte per stare tranquilli. Amavano fare il loro dovere. E così, oltre a portare alla sbarra la struttura militare di Cosa nostra, indirizzarono le loro indagini anche verso le “relazioni esterne”, la cosiddetta “area grigia”, penetrando in “santuari” che non amano sottoporsi al controllo di legalità come i cittadini qualunque. Fu quando passarono dai “malacarne” a Ciancimino padre, ai cugini Salvo (area andreottiana), ai Cavalieri del lavoro di Catania e al golpe Borghese, fu allora che Falcone e gli altri del “pool” dovettero subire attacchi protervi, che alla fine riuscirono – appunto – a smantellare il pool che aveva osato tanto.

Parlando ai ragazzi concludo sottolineando che Falcone diventa un eroe della Patria soltanto dopo morto. In vita dovette penare e non poco per colpa di quei “poteri forti” che per fare i propri interessi calpestano tutto. Guai a dimenticarlo. Anche oggi!

Huffingtonpost

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